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«L’università vi salverà dal caos»
Intervista di Manuela Borraccino a William G. Tierney
 


William G. Tierney, docente di Politiche universitarie a Los Angeles, dirige il Center for Higher Education Policy Analysis della University of Southern California. Considerato uno dei massimi esperti dei sistemi universitari e con un’esperienza diretta dell’istruzione superiore in Afghanistan e in altri paesi in via di sviluppo, sta ultimando un saggio sul ruolo delle università nel ripristino delle strutture statuali nei cosiddetti “Stati falliti” (vedi tabella a fianco). Egli ritiene che oggi l’istruzione di terzo livello debba essere concepita in questi paesi «come un tassello di ciò che viene chiamato “bene pubblico globale”: l’università ha un ruolo insostituibile per la stabilizzazione di un paese dove le strutture statuali sono implose».

Quali sono stati su scala mondiale i cambiamenti principali registrati nelle università negli ultimi decenni?
Le trasformazioni negli ultimi vent’anni sono state radicali. Le iscrizioni alle università sono pressoché raddoppiate in tutto il mondo dal 1991 al 2004, con un aumento medio del 5,1% annuo secondo i dati dell’Ocse. Mentre i fondi pubblici sono diminuiti, il finanziamento privato e l’aumento delle tasse hanno fatto la differenza, e anche gli “sponsor” primari sono cambiati: se fino alla scorsa generazione l’istruzione universitaria era garantita dallo Stato e dalle istituzioni religiose, nel XXI secolo il finanziamento statale è decisamente diminuito e il sostegno maggiore viene soprattutto dal cosiddetto settore “for profit”, al punto da mettere in discussione anche il concetto di università “privata” rispetto a quella “pubblica”.

Che impatto ha avuto la globalizzazione sulle università?
La globalizzazione ha cambiato il concetto di “studi all’estero” e di “eccellenza”. Un tempo si studiava all’estero per un semestre e poi si ritornava nella propria facoltà; oggi uno studente può frequentare una università “straniera” nella sua stessa città, o prendere lezioni via internet da un ateneo che si trova dall’altra parte del mondo. Oggi le università sono in competizione tra loro per “l’eccellenza”. La graduatoria – il cosiddetto ranking di un’istituzione su scala internazionale – viene seguita con grande interesse da politici e cittadini. Benché non prive di problemi, queste graduatorie dimostrano come le università possano essere dei motori per l’economia di un paese, sia per la formazione che forniscono agli studenti sia per il livello di ricerca che si svolge nelle facoltà.

In che modo queste evoluzioni hanno riguardato gli Stati falliti?
Il fatto è che i cambiamenti appena descritti non hanno interessato minimamente gli Stati falliti. Benché esistano differenze fra uno Stato cosiddetto “fallito”, o “in crisi” o “fragile” o in “dopoguerra”, è un dato di fatto che in questi Stati la situazione delle università è piuttosto simile: in Somalia, Sudan, Afghanistan, Timor Est, Myanmar, l’università non è un’industria in espansione come nel resto del mondo. In Somalia ad esempio esistono appena tre istituzioni universitarie con meno di 500 studenti ciascuna per una popolazione di 7 milioni di abitanti; in Afghanistan la popolazione studentesca è aumentata dopo la caduta dei talebani solo perché precedentemente era vicina allo zero.


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