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Come è facile immaginare, non tutti i paesi sono allo stesso livello di sviluppo. Ci sono i paesi dell’area europea occidentale che vantano repentini percorsi di innovamento e di progresso e altri paesi, come quelli africani o asiatici, nei quali tale momento deve ancora arrivare. Per Stati “falliti” devono intendersi quei paesi che escono da recenti esperienze traumatiche che ne hanno messo – o ne continuano a mettere – a dura prova la capacità di resistenza come guerre, crisi economiche o dittature. paesi come la Somalia, Timor Est, l’Afghanistan, l’Iraq o il Myanmar sono indicati in tale tipologia nella speciale classifica della United States Agency for International Development (USAID) denominata “Failed State Index 2009”. In queste realtà mondiali, come spiega William Tierney, docente di Politiche universitarie a Los Angeles e direttore del Center for Higher Education Policy Analysis dell’University of Southern California (“L’università vi salverà dal caos”), le università non sono considerate come industrie in espansione come invece accade, ad esempio, in Europa. In questi paesi manca l’idea dell’istruzione come bene pubblico essenziale per la crescita economica e culturale di una comunità, tanto che l’istruzione è stata spesso una via d’accesso principalmente impiegata per lo sfruttamento ideologico delle masse. Le ideologie hanno avuto facile ingresso nelle università, fino a caratterizzare le stesse cattedre e i docenti. Per il miglioramento del sistema d’istruzione, conclude Tierney, l’università deve essere vista come fattore chiave sul quale investire per stabilizzare la ripresa. Le considerazioni del professor Tierney si avvalgono di dati di fatto se si analizzano due dei paesi “falliti”: l’Afghanistan e l’Iraq. In Afghanistan ci sono diciannove università statali più l’American University di Kabul che ha aperto i battenti nel 2006 e altre università finanziate da paesi limitrofi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran. A fronte di questa nutrita presenza di università, c’è un alto tasso di analfabetismo, ci sono appena 37 mila studenti e un governo che promette da anni una riforma del sistema d’istruzione secondaria. Michael Daxner, sociologo e rettore dell’università di Oldenburg in Germania, sottolinea la mancanza delle figure di professionisti in tutti i principali settori di sviluppo economico del paese e la mancanza di fondi per migliorare la qualità dell’insegnamento. Inoltre, il sociologo sottolinea come la propaganda ideologica all’interno delle università debba essere impedita per assicurare maggiore sicurezza a tutti. L’Iraq al momento non gode di una stabilità politica ed economica. La collaborazione con la presidenza americana di Barack Obama ha generato un piano strategico quinquennale da un milione di dollari per potenziare l’insegnamento e le infrastrutture delle università e la previsione di borse di studio per l’approfondimento degli studi e delle conoscenze specifiche nei campus americani da parte di studenti iracheni. Il prof. Saad Naji Jawad, docente di Scienze politiche alla Baghdad University e presidente dell’Associazione dei docenti universitari iracheni, si mostra scettico nei confronti del piano concordato e spiega che, per la ricostruzione del sistema d’istruzione secondario in Iraq, gli ostacoli sono di natura politica ed economica: politica a causa della lotta interna per il potere tra la fazione sciita e quella sunnita; economica per la difficile situazione sociale in cui naviga il paese dopo la guerra con l’Iran (1981-88), la guerra del Golfo (1991), la dittatura di Saddam<
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