Istituto di studi politici “S. Pio V” – Editrice Apes 2011 Roma
L’Italia è conosciuta all’estero per l’alta accessibilità all’università, uno dei motivi per cui risale la china della classifica internazionale delle università. Ma è ancora così? Si può parlare di università di massa? L’università aperta a tutti porta con sé il pericolo di un livellamento verso il basso. L’equità ha due dimensioni: l’imparzialità e l’inclusione, con standard minimi nell’istruzione per tutti. All’opposto, l’alta selettività è inadatta a formare una classe dirigente che governi una società plurale come quella italiana. La direzione è indicata dalla riforma del 1999 (processo di Bologna): e cioè la “qualità di massa” che coniuga merito (talento) e equità (stesso diritto per tutti di accedere all’università). In effetti il diploma di scuola superiore non consente più automaticamente l’iscrizione all’università. Gli atenei devono verificare l’adeguatezza delle preparazione dei futuri studenti. Verifiche ci sono anche dopo la laurea triennale per l’iscrizione alla specialistica. E non basta il valore legale del titolo accademico. Dopo la laurea sono necessari esami di abilitazione per l’ingresso in ordini di professionisti e partecipazione a concorsi per l’accesso alla pubblica amministrazione.
La via italiana della qualità di massa prevede: la diversificazione delle università, l’autonomia crescente nell’offerta formativa, le pratiche di valutazione e accreditamento, definizione degli accessi a seconda delle inclinazioni degli studenti.
Per la mobilità internazionale e per rafforzare la competitività delle università europee si è creato uno spazio europeo d’istruzione superiore con il processo di Bologna che coinvolge 47 paesi e ha una dimensione sociale che prevede l’accessibilità all’istruzione, per superare l’esclusione sociale.
Per l’accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia si fa un discorso a parte. La selezione è fondamentale per garantire equità e capacità predittive. È in ballo la sanità del futuro: dalla qualità della didattica e della selezione dipende la qualità dell’assistenza sanitaria dei prossimi decenni. Secondo la Conferenza dei presidenti del corso di laurea di Medicina e chirurgia si dovrebbe dare meno importanza al voto di maturità, in modo da evitare pratiche illecite quali “mercati del diploma”. Tanto più che gli strumenti ritenuti più predittivi sono i test di abilità cognitiva: abilità linguistiche e matematiche, capacità di problem solving e capacità mnemoniche. Senza trascurare le caratteristiche del buon medico: motivazione, leadership, empatia, altruismo, competenze comunicative, attitudine al lavoro d’equipe e alla ricerca dell’eccellenza.
Se l’educazione è un investimento per il futuro, l’eccellenza è diventata la parola d’ordine, per competere in uno scenario globalizzato. Eccellenza è un termine inflazionato. I primi a utilizzarlo sono gli americani delle università mediocri: al posto delle universities of culture, mirate alla produzione di conoscenza, si contrapponevano le universities of excellence, senza contenuti chiari.
Le scuole di eccellenza italiane (Normale e S.Anna a Pisa Iuss a Pavia) hanno alcuni tratti comuni: intensità degli studi e partecipazione degli studenti, sin dai primi anni, a progetti di ricerca. La mission di solito insiste su termini come creatività, innovazione, originalità, multidisciplinarità, talento. Ci sono anche tre istituti di alta formazione dottorale: la Sissa di Trieste, la Sum di Firenze e l’Imt di Lucca. Le modalità di selezione sono prevalentemente meritocratiche: prove e titoli, senza considerare il reddito familiare.
Gli autori del volume sono Maria Cinque, Carlo Finocchietti, Giovanni Finocchietti, Giulia Gubbiotti.
Marialuisa Viglione