Biblioteca Neri Pozza, Vicenza 2011, pp. 363, € 13,50
Come sono gli italiani e come li vedono gli altri. Livio Frittella ha raccolto nei 21 capitoli di questa ricca rassegna di citazioni sull’Italia e gli italiani tutto, o quasi, quello che si pensa su di loro. Le opinioni non potrebbero essere più diverse, ma tutte ugualmente autorevoli: si va da Pietro Aretino a Francesco Cossiga, da Henry James a Lev Tolstoj, da Giovanni Falcone a Franz Kafka, da Ennio Flaiano a Voltaire…
Tanta pazienza nella documentazione è premiata da un risultato assai variegato e mai noioso. In appendice al volume è l’indice alfabetico dei personaggi citati con il riferimento alle pagine, per poterli rintracciare facilmente all’interno del volume.
Come avverte l’autore nell’introduzione, letterati, studiosi e personalità di spicco definiscono e nello stesso tempo smentiscono in questo libro uno stereotipo dell’Italia e degli italiani che certamente esiste. Parole che spesso ci fanno sorridere, ma soprattutto ci fanno riflettere sui nostri pregi e difetti, «perché gli italiani sono imprevedibili e pieni di contraddizioni».
Gli stranieri sono affascinati dal nostro passato e dalla nostra cultura: «Quel che fa impazzire gli stranieri è che l’Italia non è un museo morto, ma che la gente ci vive dentro, passeggia per le strade rinascimentali, tra i palazzi principeschi, le piazze sublimi, e che, quando terminano l’autostrada moderna, sono immessi direttamente all’interno di antiche città cinte da mura medievali, su cui si levano i torrioni, ancora robusti guardiani del presente» (Maria Antonietta Macciocchi, La forza degli italiani). Altrettanto fascino lo esercita la nostra lingua: «Mio padre insegnava l’italiano a mia sorella. E siccome sbrigavo presto il mio compito ma dovevo restare lì a sedere, tendevo le orecchie al disopra del mio libro e afferravo celermente l’italiano che mi appariva come un’allegra variazione del latino» (Johann Wolfgang von Goethe, Dalla mia vita – Poesia e verità), considerata la lingua dell’amore: «Con gli ambasciatori parlo in francese, con le donne in italiano, col mio cavallo in tedesco. E con Dio uso lo spagnolo» (Carlo V, attribuita). Ma non mancano i commenti sferzanti, come quelli di Sir Henry Wotton: «L’Italia? Un paradiso abitato da diavoli» (Lettera del 25 giugno1592) o di Madame de Staël: «Qui è tutto ammirevole, fatta eccezione per il clima morale che fa rammentare di non considerare tutto questo il paradiso […]» (Lettera a Vincenzo Monti del 23 febbraio 1805 in Choix de lettres). Anche gli italiani, tuttavia, sanno essere piuttosto caustici nel descrivere i loro vizi: «Tra il dire e il fare c’è una busta da dare» (Marcello Marchesi, 100 Neoproverbi); «Secondo Giulio Andreotti, l’utopia non risiede nel paese immaginato da Tommaso Moro, ma al ministero dei Trasporti, a Roma, dove ogni tanto c’è qualcuno che annuncia di voler sistemare le nostre ferrovie» (Enzo Biagi, “Utopia”, in I come Italiani).
Al termine delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia, vorremmo concludere con una frase che racchiude il senso del nostro Paese: «A voi, uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definita dell’Europa. In altre terre, segnate con limiti incerti e interrotti, possono insorgere questioni che il voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e costeranno forse ancora lagrime e sangue: sulla vostra, no. Dio v’ha steso intorno linee di confini sublimi, innegabili: da un lato, i più alti monti d’Europa: l’Alpi; dall’altro: il Mare, l’immenso Mare. […] Sino a quella frontiera si parla, s’intende la vostra lingua: oltre quella, non avete diritti. […] e il giorno in cui […] pianterete la vostra bandiera tricolore su quella frontiera, l’Europa intera acclamerà, sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni, l’Italia. A quest’ultima prova dovete tendere con tutti gli sforzi» (Giuseppe Mazzini, Doveri dell’uomo).
Isabella Ceccarini