Rai Eri, Roma 2012, pp. 212, € 12,00
In questo agile volume, la giornalista Alma Grandin dà prova della sua competenza professionale e del suo entusiasmo raccontando come il primo telegiornale italiano abbia sentito l’esigenza di misurarsi sul web per aggiornare i propri utenti in tempo reale. La Rai, per la precisione, ha promosso per prima la creazione di una redazione online, quella del TG1.
Scorrendo queste pagine è chiaro che passare al web non è significato aggiornare qualcosa di conosciuto, bensì dare spazio alla creatività e alla flessibilità sperimentando il nuovo alla luce di un’esperienza pluriennale.
Il rinnovamento è un processo ineluttabile, e bisogna fare i conti con l’affermarsi di nuove modalità di fruizione dei contenuti audiovisivi, ovvero della «comunicazione che verrà». Lo spettatore non è più passivo, ma è in grado di scegliere quale notizia scegliere e quando sceglierla; il progetto editoriale diventa multimediale, l’aggiornamento è continuo e le nuove tecnologie stanno rivoluzionando non solo il modo di fare informazione, ma la professione stessa del giornalista. Per non parlare del contributo diretto che viene fornito dagli utenti: se guardando un programma televisivo “subiscono” la notizia, con l’informazione via web passano al posto di comando. Però devono anche capire qual è il senso di questa grande libertà, che «non passa per l’assenza assoluta di regole, ma per la consapevolezza e la responsabilità di chi sta condividendo informazioni e conoscenza con milioni di altri utenti della Rete». Oggi la Rete pullula di giornalisti senza tesserino, i cosiddetti netizen (dalla fusione di internet+citizen) che fanno il citizen journalism e «informano il proprio territorio, spesso tralasciato dai media generalisti». Questo «“giornalismo partecipativo” fonda la propria autorevolezza sulla revisione fra pari, caratteristica tipica della comunità scientifica e di una forma di comunicazione aperta».
Il problema di una redazione web è nella verifica delle notizie che vengono rimandate in una piazza virtuale universale: qui si misurano la competenza e la serietà del professionista. La diffusione di una “bufala” può far perdere in pochi minuti la credibilità costruita con anni di serio lavoro: nel dubbio è meglio avere il coraggio di non pubblicare una notizia. Il rischio di semplificazione è sempre in agguato: se le notizie sono “rimasticate”, anziché verificate, vengono trasformate in qualcosa di diverso da quello che erano in origine. Sono quelle che Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, definisce acutamente «ex-verità».
Il cap. 2 è dedicato alla storia e ai direttori che hanno fatto crescere negli anni il TG1. Le interviste ad Albino Longhi, Bruno Vespa, Carlo Rossella, Marcello Sorgi e Gianni Riotta mostrano le diverse impronte che ognuno di loro ha dato al telegiornale. Tutti concordano sulla professionalità del giornalista che non deve mai venire meno al dovere di dare un’informazione corretta: non gli si chiede di cambiare il mondo, ma di raccontare i fatti con onestà intellettuale, non facendosi cassa di risonanza di interessi diversi. Ribadiscono inoltre che la velocità del flusso delle informazioni che circolano in internet non deve prescindere dalla verifica delle fonti: solo così si può fare informazione vera. Riotta, dà una definizione illuminante in proposito: «Internet è uno spazio, non una ricetta È uno spazio che si può riempire di cose ottime o pessime. Immagina di creare una piazza la centro della città. Può diventare un luogo di ritrovo oppure un ricettacolo di sbandati. Questo vale anche nella “piazza virtuale”». In questa piazza dove si stanno abbattendo le barriere dell’informazione ci deve essere posto per tutti, perché «un’innovazione non è democratica se non è per tutti» (Henry Ford).
I capitoli successivi illustrano come si è arrivati all’idea della redazione online e come il progetto ha preso corpo è si è evoluto fino a diventare il prodotto attuale.
Nel cap. 5 l’autrice propone una serie di interviste a grandi nomi del giornalismo italiano e internazionale, utili a comprendere analogie e differenze tra i nostri prodotti e quelli del resto del mondo: Peter Bale (CNN International), Peter Horrocks (BBC), Moeed Ahmad (Al Jazeera), Philippe Jannet (Le Monde), Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera), Roberto Napoletano (Il Sole 24Ore), Marco Tarquinio (Avvenire), Mario Calabresi (La Stampa).
Non mancano le “testimonianze digitali” (Arianna Huffington, Nicoletta Iacobacci, Layla Pavone, Riccardo Luna) e l’analisi dei principali siti di informazione.
Quello che è certo, in conclusione, è che «la rivoluzione digitale è iniziata e nessuno la può fermare».
Isabella Ceccarini