Società editrice Universo, Roma 2012, pp. 330, 30 €
Luca Borghi traccia la storia della medicina, con aneddoti, approfondimenti e biografie dei suoi protagonisti dall’antichità ai giorni nostri, fermando l’attenzione su alcune figure di medici e intrecciando il racconto con l’arte, la letteratura e la storia: un libro convincente e pieno di notizie interessanti anche per chi non è del mestiere.
Perché ci ammaliamo? Nel primo capitolo Borghi sottolinea la relazione tra alimentazione e malattia, già chiara nel 1550, quando il medico Mercuriale, fondatore della riabilitazione, scrive nel suo trattato De Arte gimnastica: «Finché gli uomini, ignari di laute mense e sontuosi banchetti, come pure dell’abitudine del bere, avevano esigenze limitatissime, nemmeno le malattie avevano fatto la loro apparizione, al punto che non se ne conoscevano neppure i nomi. Ma dopo che la nefanda calamità dell’intemperanza, la raffinata abilità dei cuochi, i più delicati condimenti e i vini di importazione si insinuarono tra gli uomini, i diversi tipi di malanni, che di pari passo si svilupparono, costrinsero a cercare dei rimedi».
Un importante passo avanti nella cura sono gli ospedali, che nascono nel Medioevo grazie alla convergenza delle culture cristiana e musulmana. Se i cristiani hanno una prima idea di ospedale come luogo di accoglienza, per la cura e l'assistenza a malati, pellegrini, poveri e bisognosi, i musulmani aggiungono la presenza fissa di medici con una formazione professionale. Risale a quel periodo la nascita della Scuola Salernitana, la prima istituzione medica dell’epoca, considerata l’antesignana delle università moderne: qui fu guarito il pretendente al trono d’Inghilterra, Roberto, figlio di Guglielmo il conquistatore, di ritorno dalle crociate.
I primi centri universitari dedicati alla medicina sono Montpellier, Bologna e Parigi, ma è con Andrea Vesalio – medico di Carlo V – che nasce a Padova l’anatomia moderna. Il padre della fisiologia è l’inglese William Harvey: trasferitosi a Padova, scopre che il fulcro della circolazione del sangue non era il fegato, come si pensava per via della teoria umorale, ma il cuore.
Molti sono gli scienziati di ogni epoca di cui parla Borghi. Ippocrate cura solo gli ateniesi, rinunciando alla ricchezza offertagli dal re dei persiani per curare i suoi sudditi malati di peste; Paracelso respinge la teoria umorale, introduce i principi chimici dell’attuale farmacologia e fonda la iatrochimica (è il primo farmacista moderno), convinto che la salute dipende dall’equilibrio tra mercurio, sale e zolfo; Galilei regala un microscopio a un medico, Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, ma la medicina introduce questo strumento solo nella seconda metà dell’Ottocento; a un medico di campagna inglese che curava mucche e uomini, Edward Jenner, si deve nel 1796 la scoperta del vaccino contro il vaiolo, dichiarato debellato nel 1980 dall’Oms.
René Laennec è l’inventore dello stetoscopio, lo strumento simbolo del medico, da cui derivarono altre invenzioni simili nel campo della diagnostica: l’otoscopio per l’orecchio, il cistoscopio per la vescica, lo spirometro per la capacità polmonare, l’oftalmoscopio per l’interno dell’occhio.
Con Florence Nightingale cambia il ruolo delle infermiere, grazie al suo impegno nella guerra di Crimea, dove riorganizza gli ospedali da campo. Si guadagnò il soprannome di “donna con la lampada” perché la notte passava con la lampada tra i feriti.
Dopo di lei, il banchiere svizzero Henry Dunant, sconvolto dal quadro che gli si presenta dopo la battaglia di Solferino, decide di dedicarsi alla cura dei feriti da guerra e crea la Croce Rossa. Finisce – povero e dimenticato – ricoverato in un ospizio, finché una sua intervista sulla nascita della Croce Rossa viene pubblicata su tutte le riviste internazionali. Nel 1901 Dunant prende il Nobel per la Pace, anche per aver ideato la Convenzione di Ginevra per i diritti umani.
Marialuisa Viglione