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il Mulino, Bologna 2011, pp. 176, 14 euro
Scienza, tecnica, economia. Se oggi taluni ritengono queste competenze indispensabili, Martha Nussbaum va controcorrente, sostenendo l’importanza della formazione umanistica (cfr. l’intervista pubblicata nel n. 128 di Universitas). Non si tratta di difendere la superiorità di un tipo di formazione sull’altra: Nussbaum sostiene l’irrinunciabile flessibilità mentale che deriva dallo studio umanistico, anche per chi lavora in ambito tecnico-economico. Il volume mette a confronto in particolare i sistemi educativi di Stati Uniti e India, due paesi che l’autrice conosce molto bene, ma chiunque abbia a cuore il ruolo dell’educazione – e i problemi ad essa connessi – nella società, troverà parecchi spunti di riflessione. Infatti, i principi che ruotano intorno alla questione hanno carattere universale: l’istruzione deve educare al mondo. Nussbaum avverte subito che ci troviamo in una crisi globale, che travalica l’aspetto economico. È la crisi silenziosa dell’istruzione, che minaccia di essere assai più dannosa di quella economica per il futuro della democrazia. Preoccupati solo del profitto, i governi stanno pericolosamente ridimensionando gli studi umanistici e artistici, saperi indispensabili alla formazione del pensiero critico, che è alla base di ogni democrazia. Già nell’ambiente scolastico si può cominciare a formare cittadini democraticamente “sani”, insegnando ai ragazzi a confrontarsi con gli altri rispettando il loro punto di vista; incoraggiando la loro responsabilità; promuovendo il pensiero critico e quindi il coraggio di dissentire. «Le democrazie hanno grandi risorse di intelligenza e di immaginazione», ma l’istruzione che ha l’occhio rivolto esclusivamente al mercato globale produce «un’ottusa grettezza e una docilità – in tecnici obbedienti e ammaestrati – che minacciano la vita stessa della democrazia». Nussbaum porta ad esempio lo studio della storia: ai ragazzi si deve far capire che la storia si costruisce partendo da varie fonti e testimonianze, che vanno valutate confrontando le diverse posizioni. Prendendo spunto dal pensiero di Socrate, secondo il quale «una vita non sottoposta a esame non è degna di essere vissuta», l’autrice non si stanca di sottolineare i pregi del ragionamento, che rende i cittadini meno influenzabili e più capaci di distinguere autonomamente tra il bene e il male. L’obiettivo primo di una democrazia sana, quindi, non è solo la crescita economica, ma la cultura politica e la convivenza civile di posizioni diverse: «L’idea che ci si debba assumere la responsabilità dei propri ragionamenti e scambiare opinioni con altri in un’atmosfera di reciproco rispetto, è essenziale alla risoluzione pacifica delle differenze, sia all’interno delle nazioni sia in un mondo sempre più polarizzato dal conflitto etnico e religioso». Il caso degli Stati Uniti è emblematico. La crisi economica ha indotto molti atenei a tagliare drasticamente la programmazione delle materie umanistiche. Anche altre aree hanno subito tagli: la differenza con le materie umanistiche è che, essendo queste considerate non essenziali, sembra naturale ridimensionarle o addirittura sopprimerle. «La qualità del sapere non può essere giudicata in base al numero di “utilizzatori esterni” o al livello degli “indicatori di impatto”»: i docenti stessi dovrebbero far capire che la loro ricerca considera «l’attività umana nella sua massima ricchezza e diversità», e non può essere ridotta a una sorta di «vendita porta a porta dei prodotti più commerciali». Finora, a detta di Nussbaum, il presidente Obama «non ha dato alcun segno di appoggio alle materie umanistiche». Anzi, ha elogiato i paesi dell’Estremo Oriente che «stanno investendo meno tempo a insegnare cose che non servono, e più tempo a insegnare cose che servono. Stanno preparando i loro studenti non al liceo o all’università, ma alla carriera». Dove ci porterà tutto questo nel lungo periodo? Ad avere «nazioni abitate da persone addestrate tecnicamente che non hanno imparato ad essere critiche nei confronti dell’autorità, gente capace di fare profitti, ma priva di fantasia. Come disse Tagore, un suicidio dell’anima».
Isabella Ceccarini
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