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Il Mulino, Bologna 2013, pp. 320, 21,25 euro
Tante riforme, ma all’insegna di una profonda incertezza strategica: quel che serve oggi in Italia – si legge in questo volume a cura di Giliberto Capano e Marco Meloni – è “l’autonomia responsabile” e coerente dell’università, con l’offerta di lauree modellate su sistemi produttivi che vivono irreversibili cambiamenti e una visione di medio-lungo termine ancorata alla costruzione dell’identità europea.
Il volume, che si avvale dei contributi di 19 esperti, costituisce una delle indagini più complete e approfondite uscite negli ultimi anni sul sistema universitario italiano e sulle riforme intraprese per adattare i nostri atenei al contesto internazionale, a partire dagli obiettivi fissati con la Strategia Europa 2020. Tale Strategia si basa sull’idea che siano cruciali per lo sviluppo sia la qualità dell’istruzione che la quantità dei fruitori: in tale prospettiva, nel 2020 almeno il 40% della popolazione europea tra i 19 e i 34 anni dovrebbe essere in possesso di una laurea. Obiettivo tutt’altro che scontato nel nostro Paese, se si considera che in Italia, secondo l’ultimo Rapporto Eurostat, solo il 21,7% di chi ha cominciato l’università ha completato il percorso di studi e si è laureato entro i 34 anni: il dato italiano del 2012 è il peggiore tra i 27 Paesi UE, dove la media di chi compie il ciclo di istruzione terziaria è del 35,8%.
Suddiviso in tre parti, il volume ricostruisce con estremo rigore scientifico gli sforzi intrapresi per la modernizzazione dell’università e gli scenari che si delineano oggi, in un contesto che richiede sempre di più una logica di tipo integrato. La prima parte ripercorre l’evoluzione dell’università italiana e, nella definizione di Guido Melis, la necessità di superare «il riformismo senza bussola» che ha contraddistinto le misure adottate negli ultimi trent’anni per correggere la separatezza degli atenei dal mondo del lavoro e degli interessi reali. Nella seconda parte si analizzano cause ed effetti della riforma Gelmini e della nascita dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) su un sistema, come quello italiano, spesso ancora restio a certificare nei fatti, rispondere alle richieste e ai dubbi che vengono avanzati, mettere in atto i cambiamenti che vengono invocati. Nella terza parte, di amplissimo respiro, si spiega perché è cruciale che chi in Italia collabora all’elaborazione delle politiche sull’istruzione si appropri degli strumenti necessari a muoversi nella complessità della vita istituzionale comunitaria, laddove si forgiano le politiche della ricerca e dell’innovazione.
Le politiche dell’istruzione superiore, in Italia e in Europa, non possono più prescindere dalla dimensione internazionale di questi fenomeni: a maggior ragione ora che le principali università del mondo utilizzano sempre di più le tecnologie digitali per la condivisione del sapere. Inoltre, la geopolitica della conoscenza sempre di più diventa un fattore rilevante nella strategia internazionale degli Stati: come dimostra il caso della Germania – con una visione della ricerca, della formazione e dell’innovazione che lega strettamente l’università e la grande industria – la «diplomazia commerciale» passa sempre di più per la capacità dell’università di recepire e interpretare le esigenze degli Stati nei diversi settori (clima/energia, salute/nutrizione, mobilità, sicurezza, comunicazione) e di contribuire insieme alle aziende a rispondere a quei bisogni e creare lavoro.
Il volume, che si chiude con dieci raccomandazioni finali su come perseguire l’autonomia istituzionale, la valutazione e la rendicontazione (accountability) delle università con maggiore efficacia e coerenza, riempie una lacuna nella saggistica sulla formazione superiore. Esso costituisce un eccellente punto di partenza non solo per quanti sono coinvolti (docenti, studenti, ricercatori, amministratori) nei profondi cambiamenti dell’università, ma anche per quei cittadini interessati a conoscere lo stato e il funzionamento dei nostri atenei, le idee e le proposte per renderli più efficaci nel creare occupazione. Perché l’Italia deve tornare a investire sul capitale umano per ricominciare a crescere e ritrovare il senso profondo del progetto di integrazione europea anche nei settori chiave dell’istruzione e della cultura.
Manuela Borraccino
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