Vita e Pensiero, Milano 2013, pp. 74, € 10,00
Il volumetto – vincitore nella sezione economica del Premio Capri S. Michele, immediatamente alle spalle del libro di Papa Francesco, Guarire dalla corruzione – riprende il testo di una Lectio magistralis tenuta da Silvano Petrosino nel 2012, in occasione del Festival Piacenza Teologia, dove il filosofo cerca di dimostrare che l’economia non è riducibile all’attività economica, come la intendiamo oggi, ovvero «l’insieme delle pratiche soggettive di autoaffermazione finalizzate esclusivamente al proprio utile» (p. 24).
Petrosino cerca di portare alla luce le radici più profonde dell’attività economica, partendo dalla sua radice etimologica. Nel significato originale l’oikonomia è la “legge della casa”, ovvero quella particolare forma di amministrazione che si esercita all’interno di una casa e che quindi tiene conto dell’altro, delle relazioni. L’essere umano “calcola” e pianifica perché, a differenza dell’animale, è consapevole della propria finitezza. Riprendendo la distinzione fatta da Heidegger tra “perire” e “morire”, Petrosino afferma che il morire accompagna ogni istante del vivere umano. Questa consapevolezza rende l’uomo necessariamente un “essere economico”, e cioè un essere che è spinto a “calcolare”, a “progettare”, a “misurare”.
Tuttavia, questa stessa consapevolezza «rischia di ottenebrare il soggetto spingendolo, sotto il dominio di quel “sentimento per eccellenza” che è la paura, a preoccuparsi solo di sé, a convincersi di doversi preoccupare solo della propria “felicità”» (p. 44). La paura e l’eccesso (che si esprime nel godimento attraverso i consumi) sono i «principali fertilizzanti del terreno dove cresce e prospera quella particolare attività (anti)economica che si suole definire business» (p. 51). Ciò che bisogna opporre alla deriva distruttiva del business non è la “gratuità”, ma un’economia all’altezza del suo stesso nome.
Il riferimento alla casa fa affiorare un aspetto ulteriore, che ha a che vedere con la consapevolezza umana che c’è sempre altro rispetto al proprio sapere, o che, quantomeno, c’è qualcosa che eccede il proprio sapere. « Una “casa” non è un campo di battaglia e in essa non c’è nessun bottino da spartire, anche se essa, evidentemente, può in ogni istante trasformarsi nella scena di una guerra violentissima e distruttiva» (p. 34). L’alterità si pone come presenza costante, ma anche come elemento che eccede ogni presente: «L’uomo non è semplicemente un vivente “molto intelligente”, ma è quel vivente dotato anche di un’“altra” intelligenza, di un’intelligenza dell’“altro”, non solo problem solving ma capace dell’altro, aperta all’altro, è un vivente dotato di quell’“altra” intelligenza che è la ragione stessa» (p. 36).
La consapevolezza della mortalità e il “sapere di non sapere” si trovano dunque al fondo stesso del “calcolo” dell’uomo economico. L’esperienza umana sollecita «una ratio capace di misurare e dividere secondo un “tutt’altro conto”», una ratio cui «non bisogna temere di dare il nome che merita: “giustizia”» (p. 38)
«Si sta forse sognando?» (p. 63) si chiede il filosofo al termine della sua Lectio. La domanda riguarda la possibilità concreta di un soggetto autenticamente economico. La risposta è contenuta in un’altra domanda, che propone l’economia come scienza umana e non come scienza esatta: «Perché non avere fede in quell’economia che in verità è uno dei segni più luminosi della dignità umana?».