Nello scorso dicembre è stato presentato da Luigi Biggeri, presidente del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario (Cnvsu), il IX Rapporto sullo stato del sistema universitario italiano in cui si sottolinea la necessità di coordinare gli interventi a livello di sistema con quelli a livello di ateneo e di facoltà.
Accanto ad elementi incoraggianti, come l’accresciuta partecipazione ai programmi di mobilità (+10,2% rispetto all’anno precedente) o il più alto tasso di successo nei corsi di laurea di primo livello (57%), ovvero il conseguimento del titolo di dottore di ricerca da parte di 10.188 studenti, si registrano anche segnali preoccupanti come la proliferazione eccessiva dei corsi di studio con una consistente polverizzazione territoriale, un’eccessiva frammentazione dei corsi di dottorato e l’aumento dei fuori corso. Si conferma la crescita della presenza femminile tra docenti e ricercatori, anche se solo il 18% degli ordinari sono donne. Inoltre, per la prima volta negli ultimi dieci anni, i professori di ruolo calano di 1.100 unità mentre i ricercatori aumentano di 900.
Per quanto riguarda l’età dei docenti, diminuiscono gli under 35 e aumentano gli over 65, e contestualmente si innalza di oltre un anno e mezzo l’età media di ingresso nei ruoli dei ricercatori.
Per quanto concerne il finanziamento, nel 2006 le entrate complessive del sistema universitario italiano sono aumentate del 3% rispetto all’anno precedente, anche se sono diminuite quelle ministeriali: ciò è dovuto a un incremento delle tasse pagate dagli studenti, ma soprattutto alla maggiore capacità degli atenei di attrarre finanziamenti esterni.
Il Rapporto ha analizzato i ranking del “Times Higher Education Supplement” (cfr. “Universitas” n. 107) che considerano i 600 migliori atenei del mondo: ne risulta che il nostro sistema universitario ha una buona qualità media, ma non fa emergere punte di eccellenza.
Nessuna università italiana è ai primi posti in classifica, ma tra questi primi 600 atenei 22 sono italiani e, facendo riferimento alle prime 200 università europee, quelle italiane sono al 10° posto per academic peer review, citation per faculty ed employer/recruiter review, e rispettivamente al 16° e 19° posto per l’attrazione internazionale degli studenti e per quella dei docenti.
L’università e i suoi utenti
Il numero di iscritti alle università si è praticamente stabilizzato da circa quattro anni sopra al milione e ottocentomila unità. Peraltro, dopo un triennio di aumento generalizzato degli immatricolati (dall’a.a. 2201-02 al 2003-04) dal 2004-05 il loro numero sta progressivamente diminuendo.
Anche il rapporto tra immatricolati e diciannovenni, dopo anni di continua crescita, ha iniziato a rallentare: in generale, con l’introduzione del nuovo ordinamento, è aumentato il numero di “maturi” che si sono iscritti all’università, e poi è iniziata una lenta diminuzione.
Il 75% dei ragazzi si iscrive all’università nello stesso anno del conseguimento della maturità, mentre diminuiscono quelli che si iscrivono dopo uno o due anni dalla fine degli studi secondari, spesso dopo aver fatto un’esperienza lavorativa: va però considerato a tale proposito che l’oscillazione potrebbe dipendere anche dalla situazione contingente del mercato del lavoro.
Se si iscrivono meno matricole “tardive” aumentano però le occasioni di tirocinio e stage: nell’a.a. 2006-07 ne sono stati attivati quasi 192.000 (11.800 in più rispetto all’anno precedente), ma con notevoli differenze a livello territoriale: 28 tirocini ogni 100 s