Il 2010 sarà un anno molto importante nell’agenda europea perché indicherà i risultati effettivi delle riforme avviate negli Stati membri nel campo dell’istruzione superiore dopo il Processo di Bologna e in vista della cosiddetta strategia di Lisbona, che si propone di far primeggiare l’economia europea nel mondo.
È difficile prevedere quale sarà il mondo della formazione universitaria e della ricerca dopo il 2010, ma si può supporre, che, nonostante le buone intenzioni, molti degli obiettivi indicati a Bologna – relativi agli accessi universitari, alla mobilità studentesca, all’internazionalizzazione degli atenei, al controllo di qualità dell’insegnamento – non saranno pienamente raggiunti nel breve termine e saranno destinati a riproporsi nei decenni successivi.
In sede internazionale si stanno susseguendo diverse indagini, con risultati per la verità non sempre univoci, per ipotizzare i probabili scenari futuri1. Fra queste, Beyond 2010 – Priorities and challenges for higher education in the next decade (a cura di Maria Kelo, Aca Papers on International Cooperation, Lemmens Medien Gmbh, Bonn 2008), promossa nella Conferenza di Tallin in Estonia il 16 e il 17 giugno 2008 dall’Academic Cooperation Association (Aca), un ente di ricerca fondato nel 1993 che opera come rete no profit paneuropea delle principali organizzazioni nazionali destinate a promuovere l’internazionalizzazione della formazione, cui aderiscono anche membri del Nord America e dell’Australia.
L’internazionalizzazione dell’insegnamento universitario
Un elemento chiave della politica educativa europea degli anni che ci lasciamo alle spalle è rappresentato dall’internazionalizzazione, intesa, per dirla con la studiosa Jane Knight, come «processo di integrazione della dimensione internazionale, interculturale o globale nelle finalità dell’istruzione post-secondaria», cui si riferisce oltre la metà delle azioni suggerite a Bologna e che agli inizi del nuovo secolo ha assunto molteplici sfaccettature. Basti pensare alle varie tipologie, che contraddistinguono il termine “mobilità”, rintracciabile negli studi universitari sin dal Medioevo e che oggi contempla ad esempio la possibilità di passaggio tra percorsi di studio universitari e non, ovvero compiere periodi di studio in altre istituzioni similari di istruzione superiore (mobilità orizzontale, come nella fattispecie del Programma Erasmus, percentualmente in crescita nei paesi dell’Est europeo di più recente ingresso nell’Unione Europea), oppure la mobilità studentesca da paesi meno sviluppati verso istituzioni di istruzione più all’avanguardia (mobilità verticale: oltre la metà proveniente da paesi extraeuropei – Africa 17%, Asia 15% e Cina che da sola rappresenta il 6% del totale).
Altrettanto variegato è il panorama del riconoscimento degli studi (dalle Convenzioni del Consiglio d’Europa negli anni Cinquanta a quelle dell’Unesco negli anni Settanta, alla Convenzione Unesco/Consiglio d’Europa siglata a Lisbona nel 1997 fino alla più recente Eqf-European Qualifications Framework) e dell’internazionalizzazione inserita nei programmi di studio, che può basarsi sulla possibilità di: impartire gli insegnamenti in una lingua diversa da quella nazionale (molto spesso l’inglese); programmare congiuntamente tra istituzioni di differenti paesi appositi curricula internazionali; esportare all’estero docenti universitari (i “flying professors”) ovvero l’attività formativa in toto di una determinata sede universitaria, utilizzando l’insegnamento a distanza o propagandandone l&rs