Poche persone vengono qui, anche se è a poche ore dall’Europa, scrive Richard Dowden, ex-redattore dall’Africa di “The Economist”, nel suo libro Africa: Altered States, Ordinary Miracles. I visitatori sono turisti, organizzati o con lo zaino in spalla, volontari, amministratori delegati di multinazionali e funzionari internazionali. Di rado restano a lungo. Quando lo fanno, però, spesso rimangono stupiti dal benvenuto dell’Africa, estasiati piuttosto che spaventati, perché la gente è amichevole, gentile e infinitamente educata. Posseggono, infatti, una naturale disposizione al savoir faire, ti guardano negli occhi e si identificano, condividono e accettano dagli altri senza alcun imbarazzo.
L’Africa è grande e incredibilmente bella. Gli stranieri qui perdono le inibizioni e si sentono maggiormente se stessi. I tratti essenziali dell’esistenza – luce, acqua, cibo, nascita, famiglia e morte – sono più immediati e intensi. I visitatori realizzano d’improvviso cos’è la vita: la ricchezza dell’umanità, delle altre persone. Allo scenario positivo fa da contrappeso l’inferno della povertà, la fame, le malattie, la guerra, la corruzione e il caos in paesi come lo Zimbabwe, la Somalia e il Darfur. «L’Africa non può mettere insieme i pezzi» borbottano i lettori di giornali a Londra e a New York.
Tuttavia, come Dowden ironicamente sottolinea, sta nell’interesse dei media, delle organizzazioni umanitarie e dei produttori di armi tenere l’Africa in questo stato di arretratezza. «Il problema dei media è che, trattando di guerre e disastri, ci restituiscono soltanto quell’immagine del Continente» sostiene il giornalista «le continue scene di bambini che muoiono di fame e di uomini con la pistola si sono affastellate nella narrazione dell’Africa». Non mancano le accuse alle organizzazioni che, «per quanto buone possano essere state le loro motivazioni, hanno fatto la loro parte nel dar vita all’unica, angosciante immagine del paese». Un giornalista nigeriano ribadisce: «Sì, la Nigeria è caos. Ma il caos viene creato dal governo. È ciò che gli consente di restare al potere». Ed è così per la maggior parte del Continente.
Dowden si recò per la prima volta in Africa subito dopo l’ascesa al potere di Idi Amin, nel 1971, arrivando nella rurale Uganda in veste di insegnante di scuola superiore. Le aspettative erano ancora alte, le istituzioni funzionavano e la qualità della vita stava migliorando. Ma poi l’Africa divenne terreno di scontro di due super poteri. «Le cose andarono in pezzi» e l’Occidente, dimenticando il proprio passato sanguinoso, diventò improvvisamente critico o, come nel caso del Rwanda nel 1994 e le conseguenti ripercussioni nelle foreste del Congo, si girò dall’altra parte.
Ciò nonostante, Dowden insiste nel sostenere che c’è ancora speranza per l’Africa. L’Angola, ad esempio, è stata depredata per secoli, in primis per i propri schiavi – oggigiorno fornisce schiavi per il commercio trans-atlantico più di qualsiasi altro paese – poi per la ricchezza di minerali. Le compagnie occidentali estraevano il petrolio sebbene l’Unione Sovietica governasse con un governo fantoccio. Il paese è passato attraverso anni di guerra civile e attualmente è uno dei più corrotti nel mondo. Chi dovrebbe prendersene la colpa? Gli africani, i paesi sviluppati o entrambi?
La musica moderna, continua con toni più pacati, è un regalo dell’Africa al mondo: il rock, il jazz, il reggae e il soul hanno le proprie radici qui. La musica a