Nel nuovo numero di Universitas, il 116, si concentra l'attenzione sul binomio pubblico-privato nell'università. Questo riguarda - ma non solo - le tipologie che denotano la presenza o meno dello Stato nell'istituzione e gestione dell'alta formazione e il crescente diffondersi in tutto il mondo, quindi in contesti politici e sociali diversissimi, del settore non statale, espressione di tendenze valoriali e religiose o di interessi territoriali e locali.
"Universitas" dà conto degli scenari mondiali in cui la domanda di istruzione superiore cresce e si differenzia. I governi, gli apparati statali, non reggono più la spinta all'espansione: l'esigenza di un accesso a categorie sociali prima escluse e quindi a politiche lungimiranti di diritto allo studio si è appannata di fronte alle strettoie di bilancio. Si assiste quindi all'espansione del settore privato, nelle forme diverse del for profit dichiarato, dell'ingerenza delle aziende nella forma delle corporate universities, delle iniziative internazionali nord-sud di cooperazione che puntano all'istituzione e gestione paritetica di atenei: un'espansione favorita dalla domanda di ceti sociali in grado di sopperire all'investimento economico che comporta gli studi superiori.
Ma l'accezione "privato" oggi denota anche un processo che prescinde dalla natura dei sistemi universitari: per privatizzazione dell'Higher Education si intende quel processo «in forza del quale le università assumono caratteristiche e regole operative tipiche delle imprese private», con conseguenze positive per l'efficienza e l'equilibrio della gestione, ma che rischiano di allontanare gli atenei che ne sono coinvolti dalla mission tradizionale, specialmente per l'attuazione del principio di uguaglianza e del diritto allo studio.
In questo numero, tra l'altro: la condizione occupazionale dei laureati nel Rapporto AlmaLaurea e nell'Indagine Stella, un dossier dedicato all'entrata in vigore dello Spazio europeo dell'istruzione superiore e un'intervista all'economista José Tomas Raga in cui ci si chiede se oggi esista ancora la missione originaria degli atenei.
Isabella Ceccarini
(settembre 2010)
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