A dispetto della sua veneranda età e degli attacchi che da più parti le vengono sferrati, l'università continua a godere di buona salute e a mantenere viva l'attenzione ai cambiamenti del mondo che la circonda e la capacità di adattarsi ad essi. Spesso, però, tali sforzi di rigenerazione non sono molto apprezzati, e la diffidenza nei suoi confronti dell'università si fa più decisa proprio nei momenti in cui si prospetta qualche mutamento.
L'incontro "L'università: prove di cambiamento. E i media?" organizzato il 7 ottobre dalla facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma ha dato modo di riflettere su come i mezzi di informazione presentano le questioni relative al mondo accademico.
Ad eccezione di pochi casi, i giornali parlano di università in termini scandalistici o catastrofici: costi eccessivi, baroni, nepotismi, assenza di meritocrazia, compravendita di esami e lauree, ultimi posti nelle classifiche internazionali. Eppure, come hanno opportunamente sottolineato i relatori del convegno, la realtà parla invece di un'istituzione che - seppure con innegabili difficoltà - conserva la capacità di rinnovarsi per affrontare i cambiamenti sociali e le riforme che la riguardano.
Bisogna smontare i luoghi comuni, e non dare eccessivo spazio a questioni secondarie che fanno perdere di vista i veri problemi. I media hanno il dovere di denunciare le disfunzioni del sistema (scarsa internazionalizzazione, poca abitudine alla competizione scientifica dovuta anche all'assenza di un corretto sistema di valutazione, bassa diffusione del diritto allo studio, mancanza di un efficace sistema di orientamento), ma dal mondo universitario si lamenta la poca accuratezza, la mancanza delle fonti e lo scarso utilizzo dei dati di riferimento a sostegno degli articoli pubblicati. Altrimenti le colpe di alcuni si traducono in accuse all'intero sistema. L'università è un bene collettivo insostituibile, e come tale va sostenuto anche attraverso la critica, purché costruttiva, e contrapponendo i dati reali ai pregiudizi.
Anche i ranking vengono presentati in maniera distorta: se è vero che non ci sono atenei italiani nelle prime posizioni, è altrettanto vero che ce ne sono tra i primi 500, a dimostrazione di una buona qualità media, ma senza punte di eccellenza. Il che è diverso dal dire che le nostre università non sono competitive. Il sistema denuncia certamente indici di bassa produttività nella formazione del capitale umano ad elevata qualificazione: allora, se le prestazioni dei nostri atenei sono in alcuni casi insoddisfacenti, perché non interrogarsi sulle cause di questi fenomeni? Quali di queste colpe sono imputabili all'università e quali alle politiche pubbliche o al sistema paese?
Nel corso del convegno è stato proiettato un video realizzato dalla facoltà di Scienze della Comunicazione e dal Medialab-Laboratorio di arti visive e produzione multimediale con le interviste agli attori del sistema universitario per capire come sia percepito il ruolo dell'università dai media, dall'opinione pubblica e dall'impresa