La 382 del 1980 non è una legge in senso tecnico, ma un decreto delegato applicativo della legge 28 del 21 febbraio di quello stesso anno: la ricordiamo a distanza di tre decenni perché rappresentò il tentativo di ammodernare il sistema universitario italiano in quegli anni in rapida e tumultuosa espansione, attraversato da turbolenze di varia natura. Il Decreto presidenziale 382 si sviluppava in ben 124 articoli e riguardava soprattutto il riordinamento della docenza universitaria – con l’istituzione delle due fasce di ordinari e associati – e la sperimentazione organizzativa e didattica, comprendente in particolare la nuova figura del dottorato di ricerca e l’organizzazione dipartimentale.
Trent’anni dopo, il disegno di legge 1905, noto con il nome del ministro proponente Gelmini e tuttora al vaglio parlamentare, si può dire almeno in parte ispirato da analoghe preoccupazioni ed esigenze: mettere ordine nelle carriere dei docenti, rivedere i criteri di organizzazione degli studi, regolamentare la governance degli atenei, rivalutare i dipartimenti. La questione spinosa dell’accesso alla funzione docente,che da mesi solleva proteste fra coloro che aspirano al ruolo di ricercatori universitari o fra quanti già facendone parte non intendono essere “dimenticati” dalla legge, richiama alle soluzioni dilatorie adottate trent’anni fa dalla 382,le cui incertezze sono state alla base dei continui soprassalti nella vita delle università e dei tentativi di soluzione falliti dai diversi governi succedutisi da allora alla guida del paese.
L’art.1 della 382 recita: «È istituito il ruolo dei ricercatori universitari. Non è consentito il conferimento di incarichi di insegnamento». In tale ruolo vennero immessi, attraverso procedure idoneative, gli ex- precari derivati dai “provvedimenti urgenti” del 1973 per svolgere «compiti di ricerca scientifica e attività didattica all’interno dei corsi di insegnamento ufficiali», in attesa della regolamentazione dello stato giuridico, da definire a distanza di quattro anni. Regolamentazione, come è noto,mai attuata. Il fenomeno del precariato nelle sue diverse accezioni – borsisti, assegnisti, contrattisti – già allora era un cancro della vita universitaria, cresciuto, sviluppatosi e «favorito spesso da leggi improvvide e tardive e da un generale allentamento dei valori scientifici» ( U. Massimo Miozzi, Lo sviluppo storico dell’università italiana, 1993).
A cinque anni dal Dpr 382, “Universitas” (n. 18 del dicembre 1985) ospitò un’ampia riflessione dei principali protagonisti politici per segnalare i cambiamenti attivati da una delle leggi più discusse della storia legislativa italiana. Tra gli ex-ministri della Pubblica Istruzione intervistati, Mario Pedini si poneva diversi interrogativi sulle innovazioni introdotte dalla normativa del 1980, e a proposito dei ricercatori affermava che il Dpr 382 si sarebbe potuto dire pienamente realizzato solo quando fosse stato superato l’ostacolo dei ricercatori. Il ddl Gelmini si appresta in questo scorcio dell’anno 2010 a dare una risposta a questa vexata quaestio. È augurabile che la lezione del passato, rievocata in questo forum da alcuni dei protagonisti di allora, sia presente in chi ha l’onere di assumere decisioni per il futuro dell’università italiana.