Dopo molti tentativi infruttuosi nel corso delle precedenti legislature, trent’anni fa venne varata la normativa conosciuta come 382 con l’obiettivo di dare alle università gli strumenti per affrontare le grandi trasformazioni sociali e culturali in corso nel paese. Tale era l’ambizione di quanti – ministri, parlamentari, dirigenti del ministero della pubblica istruzione, rettori, associazioni di docenti e di studenti – furono partecipi a diverso titolo di quell’evento: alcuni di essi ricordano in questo numero di “Universitas” i loro stati d’animo, le aspettative, le successive delusioni. Pure nel 1980, su iniziativa di Domenico Fazio, direttore generale dell’istruzione universitaria nell’allora Ministero della Pubblica Istruzione, nasceva questa rivista. Ripercorrendone la storia, s’incontrano titolari del dicastero di viale Trastevere quali Valitutti, Spadolini, Falcucci, Ruberti , protagonisti di quella stagione che, iniziata con il decreto delegato 382, ha condotto l’università italiana attraverso tensioni e difficoltà, verso il raggiungimento di quell’autonomia che qualcuno ha definito “l’incompiuta”.
Venendo all’oggi, anche il ddl Gelmini ha l’ambizione di migliorare la fisionomia dell’università italiana, restituendo alla formazione superiore e alla ricerca autorevolezza nel paese e nello scenario internazionale. Nei mesi scorsi, durante l’iter parlamentare che ha portato il provvedimento all’approvazione del Senato il 29 luglio e all’ultimazione dell’esame da parte della VII Commissione Cultura della Camera il 7 ottobre, si è assistito a commenti improntati a speranze o avversioni a seconda degli interessi in gioco (rettori, docenti, ricercatori, precari della didattica e della ricerca).
L’imprevisto rinvio a dicembre dell’esame del provvedimento in Aula a motivo della non accettazione da parte del Ministero dell’Economia della previsione finanziaria contenuta nell’emendamento della maggioranza presentato il 6 ottobre (il piano per concorsi a professore associato di 9mila ricercatori a tempo indeterminato in sei anni) ha sollevato reazioni opposte: per la Crui è un ulteriore impedimento al corretto svolgimento dell’anno accademico appena iniziato, con l’aggravante dell’incertezza sul reperimento dei finanziamenti fra due mesi; per il presidente del Cun Andrea Lenzi e per il vicepresidente di Confindustria Gianfelice Rocca le risorse per i concorsi si possono trovare solo che si rifletta sul risparmio che comporterà l’andata in pensione di migliaia di docenti nei prossimi cinque anni; dal canto loro i deputati dell’opposizione nella Commissione Cultura si augurano che il rinvio consenta la riapertura del dibattito su alcuni aspetti controversi della riforma; gli studenti dell’Unione degli Universitari e i docenti dell’Andu, esponenti di posizioni radicalmente contrarie al ddl Gelmini, premono per un suo accantonamento tout court.
Al di là comunque di sospetti e timori, resta l’amara sensazione di vivere in un paese che non è in grado di affrontare e risolvere con competenza e determinazione problemi strutturali quali sono quelli connessi all’istruzione, alla formazione, alla ricerca. Per Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei Rettori, la mancata approvazione della legge «sarebbe la riprova che in Italia le riforme sono impossibili […] Ne risentirebbe il buon funzionamento delle attività istituzionali e crescerebbe la demotivazione. Sarebbe vanificato, forse per sempre, lo sforzo di tenere il sistema universitario italiano in Europa, adattandone alcuni standard».
Pier Giovanni Palla