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Il 26 gennaio è stato presentato a Roma il nuovo Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario redatto dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), appuntamento annuale giunto quest'anno alla sua undicesima (e forse ultima, vista la recente nomina dei componenti dell'ANVUR) edizione.
È un sistema in chiaroscuro quello universitario italiano che esce dalla lettura del Rapporto: da una parte c'è un sistema universitario mediamente di buon livello, che nella competizione internazionale vede 15 università italiane posizionarsi tra i primi 500 atenei al mondo; dall'altra, circa 56 giovani su 100 si iscrivono ai corsi equivalenti alle lauree triennali nei paesi OECD contro il 51% dell'Italia.
Il Presidente del CNVSU Luigi Biggeri punta l'attenzione su tre aspetti decisivi per la tenuta, nel contesto internazionale, del nostro sistema di Alta formazione la cui qualità, peraltro, è riconosciuta a livello mondiale. Il primo aspetto, strategico, riguarda l'avvio di una reale razionalizzazione del numero dei docenti e dei corsi di studio. "L'Università - sottolinea Biggeri - ha operato sì una diminuzione dei corsi di studio e dei docenti negli ultimi anni, ma l'analisi d'insieme segnala che ciò è avvenuto in assenza di una reale e appropriata programmazione capace di tenere in considerazione il vero fabbisogno informativo e di ricerca. Il disegno futuro, data l'urgenza, non potrà basarsi ancora una volta su compromessi tra "gruppi interni" di potere all'università - che con le numerosissime uscite dei docenti dai differenti settori scientifico disciplinari potranno cambiare "profilo" - bensì su un disegno strategico ad hoc. La programmazione degli accessi e delle modalità di richiesta dei posti da mettere a concorso, in relazione alle effettive esigenze delle attività di formazione e di ricerca che si modificano nel tempo, è irrinunciabile, pena il verificarsi di vere e proprie "emorragie" di docenti in determinate aree di studio. Ad esempio, come risulta dal Rapporto annuale, entro il 2015 usciranno dall'Università, per limiti d'età, circa il 32% dei professori ordinari delle aree delle Scienze Fisiche e di Ingegneria Civile e Architettura".
Il secondo aspetto, insiste Biggeri, riguarda un fenomeno fino ad oggi inedito, che desta qualche preoccupazione: al calo degli immatricolati fa da contraltare la circostanza che il mancato proseguimento degli studi da parte dei maturi è più consistente, sul territorio, laddove il mercato del lavoro offre maggiori chances occupazionali. Il terzo aspetto, anch'esso inedito rispetto alle precedenti indagini condotte attraverso i Nuclei dal CNVSU, si concentra sul fatto che ad attrarre i maturi più bravi (quelli con voto di diploma fra 90 e 100) siano prevalentemente alcuni Atenei non statali.
Tali particolarità si collocano, come sempre, all'interno di un quadro di grandissimo respiro che tocca, nel Rapporto, punti di forza - come il fatto che il nostro sistema universitario si colloca al 10° posto al mondo e al 5° in Europa nella valutazione internazionale ed è al 1° posto in Europa per accessibilità - e di debolezza. Fra questi ultimi, l'incidenza della spesa italiana per l'Università sulla spesa pubblica, che è la più bassa fra i paesi OECD o il tasso, ancora troppo contenuto, di laureati in corso.
Nello snocciolare i dati, Biggeri ha ricordato l'azione strategica e di accompagnamento verso la valutazione svolta dal<
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