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Nord Africa: fiato sospeso in Egitto, la protesta contagia il mondo arabo
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Paesi extraeuropei
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Pubblichiamo un articolo di Manuela Borraccino sulle proteste che hanno colpito i paesi arabi in questi giorni e che mostrano la difficile situazione socio-culturale che si vive in questi ambienti. Si rende leggibile un articolo della stessa autrice in merito alla difficile situazione dei giovani in Egitto pubblicato sul numero 118 di Universitas (dicembre 2010).
La miccia che ha fatto deflagrare la rivolta è stato un mix esplosivo di povertà e corruzione. Internet è stato il motore e gli studenti universitari gli apripista della protesta. Ma, in Egitto come in Yemen, saranno le Forze armate a costituire l'ago della bilancia. Le manifestazioni di piazza nate ai primi di gennaio in Algeria da proteste per le condizioni economiche e poi trasformatesi in contestazioni di sistema il 14 gennaio con lo sciopero generale in Tunisia ed il 25 gennaio in Egitto, continuano a dare segnali anche in altri Paesi e prospettano un allargamento all'intero mondo arabo. La spinta viene soprattutto dai giovani e assume un significato rilevante in un'area del mondo nella quale il 65% della popolazione ha meno di 25 anni ed il tasso di disoccupazione è il più alto del mondo: l'Organizzazione internazionale per il Lavoro (ILO) parla di un tasso di disoccupati del 10,3% (contro il 6,2% come media globale) che balza al 40% per i giovani fino ai 25 anni e non risparmia i laureati (300.000 all'anno solo in Egitto).
Tanto è vero che è stato il caso di Mohamed Bouazizi, il giovane laureato tunisino in Economia, costretto a vivere come venditore ambulante di ortaggi e che si è dato fuoco all'inizio dell'anno per il divieto di occupare il suolo pubblico, quello che ha fatto scoppiare la rivolta in Tunisia. In Egitto, il caso assurto a simbolo dell'oppressione avvertita dalla popolazione è stato quello Khaled Said, 28 anni, massacrato dalla Polizia per aver denunciato la corruzione delle Forze dell'Ordine.
Dopo l'azzeramento del Governo della Giordania, deciso l'1 febbraio da re Abdullah ii bin Al-Hussein, dopo le proteste ad Amman, la comunità internazionale continua a seguire con il fiato sospeso l'evolversi della situazione al Cairo, dove le proteste hanno causato la morte di altre 10 persone nei giorni scorsi e l'arresto di diversi giornalisti stranieri.
Manuela Borraccino (febbraio 2011)
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