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Giorgio Vittadini (Università di Milano Bicocca) ha sostenuto che bisogna sì essere formati, ma anche formati ad apprendere, e devono essere migliorate le politiche per aumentare le opportunità di auto-imprenditorialità: infatti, il problema non è tanto nella flessibilità in ingresso, ma proprio nel mercato del lavoro. La qualità e la cura dell'eccellenza sono determinanti, e purtroppo questi obiettivi sono stati troppo smesso mancati.
Mohammed Zaher Benabdallah (Università di Meknes, Marocco) e Kate Purcell (Università di Warwick, UK) hanno evidenziato la necessità di un collegamento tra istruzione-lavoro: il mercato è frammentato, e la globalizzazione ne ha mutato le esigenze e la struttura. L'istruzione, però, non va confusa con il mercato: è piuttosto un veicolo per la mobilità e l'occupazione. La produzione è passata da labour based a knowledge based, a dimostrazione del forte impatto della tecnologia. L'istruzione deve quindi gestire i processi che hanno cambiato profili e confini del mercato, e sradicare le disuguaglianze senza perdere di vista criteri di sostenibilità e competitività. L'esistenza di una rete internazionale di istituzioni di istruzione superiore in grado di connettere i laureati con il mondo del lavoro aiuterebbe le imprese a trovare la persona giusta al momento giusto, incoraggiando la mobilità, la ricerca e l'internazionalizzazione del sapere.
Analizzando il rapporto tra capitale umano e sviluppo, Adriana Luciano (Università di Torino) si è domandata se sia possibile sviluppare un mercato del lavoro dinamico nei paesi del Mediterraneo, dove si affacciano paesi popolati da giovani con tassi di scolarità diversi, ma senza serie prospettive di lavoro. La migrazione dei laureati in molti casi non è solo brain drain, ma più banalmente un problema di sopravvivenza, mentre la bassa scolarità fa esportare forza lavoro non qualificata. I paesi affacciati sul Mediterraneo potrebbero essere divisi idealmente in tre gruppi, molto diversi tra loro: 1) Francia, Italia, Spagna, Israele; 2) Grecia e Slovenia; 3) Croazia, Albania, Turchia, Libano, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto. I paesi del primo gruppo sono caratterizzati da alta scolarità e alto tasso di occupazione, quelli del secondo gruppo da alta scolarità e basso tasso di occupazione, quelli del terzo da bassa scolarità e bassa occupazione.
Studiare è sempre un investimento nel futuro, e il mercato ha bisogno di lavoratori esperti e qualificati: quindi aumentare il livello di istruzione porta a migliorare il livello del lavoro. Qualcuno ritiene che in Italia si studi troppo e non si trovi un lavoro adeguato. Per Roberto Torrini (Banca d'Italia) l'accoglienza riservata ai nostri laureati all'estero smentisce il primo assunto. Per quanto riguarda il secondo, anche se si trova un lavoro che non è quello che ci si aspetta o che non è correlato agli studi svolti bisogna ricordare che entrare nel mercato non è mai una perdita di tempo: quello che conta è immettersi prima possibile nel tessuto produttivo.
Dalle pagine dei quotidiani
Andrea Cammelli, direttore del Con
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