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In Siria malgrado il controllo del regime sugli atenei non è stato secondario il ruolo avuto dagli studenti nelle proteste che stanno facendo vacillare il regime alauita di Bashar Al Assad. E questo, spiegano gli analisti, è avvenuto grazie alle nuove opportunità di comunicazione, condivisione, aggregazione offerte dai social network diffusi in primo luogo tra gli universitari.
Nel Paese crogiuolo di razze e religioni che occupa il centro geografico del mondo arabo (sono sunniti il 74% della popolazione, alawiti il 13%, cristiani il 10%, drusi il 3%), oltre a dieci università statali che dipendono dal Ministero dell'Istruzione superiore ci sono 18 atenei privati gestiti da fondazioni sulla base di regolamenti e controlli di qualità per gli accrediti internazionali. L'80% degli studenti, circa 200.000, studiano nelle quattro maggiori istituzioni accademiche pubbliche di Damasco, Aleppo, Homs e Hama. In totale ci sono circa 250.000 studenti (su 18 milioni di abitanti, ai quali si sono aggiunti negli ultimi anni circa 1.600.000 rifugiati iracheni). Dall'inizio delle proteste deflagrate a metà marzo a Deraa, nel sud del Paese al confine con la Giordania, non si placano le manifestazioni per il riconoscimento dei diritti civili, la fine del controllo poliziesco e una distribuzione più equa delle risorse dello Stato, in gran parte in mano al clan alauita.
Qual è stato il ruolo delle università nelle proteste? "A mio avviso più che le aule universitarie in se stesse, sono stati i social media, soprattutto Facebook e Twitter ad aggregare ed in qualche modo a catalizzare la protesta" rimarca in un colloquio con Universitas Habib C. Malik, docente di Storia moderna alla American Lebanese University di Beirut e tra i più acuti osservatori delle proteste che stanno cambiando gli assetti del Nord Africa e del Medio Oriente. "Ma teniamo anche presente - aggiunge - che si tratta di due facce della stessa medaglia: gran parte degli utenti della rete frequenta l'università ed in un certo senso i social media hanno spianato la strada agli studenti. Anche in Siria, dove pure l'università è così strettamente sotto il controllo statale, se anche non sono stati resi politicamente attivi dai docenti, molti fra i giovani manifestanti sono stati allertati e coinvolti dai loro compagni e dai gruppi su Facebook. In Tunisia e in Egitto il ruolo dei professori è stato molto maggiore a causa della maggiore libertà di insegnamento nelle università, e diversi docenti come si è visto al Cairo hanno preso posizione contro Mubarak".
A metà maggio Assad ha ammesso che "alcuni errori sono stati commessi dalle forze di sicurezza" nel reprimere le proteste. Gli elementi comuni alle manifestazioni a Deraa, a Homs, a Latakia, Qamishli, Koban e nelle altre città sono il risultato dei problemi economici e sociali, della disoccupazione e della mancanza di libertà patita dalla popolazione, anche se le proteste hanno mostrato un diverso grado di organizzazione e l'assenza di leadership, causata dallo smantellamento dell'opposizione interna negli ultimi trent'anni, non aiuta la ribellione a darsi un'espressione politica. "Quella di Deraa resta una protesta locale, mentre la maggior parte dei manifestanti a Damasco sono giovani universitari, ben coordinati su Facebook e alcuni legati a dissidenti politici attualmente in prigione" spiega Stefan H. Winter, docente di Storia ottomana alla Université du Québec di Montreal. "D'altra parte - aggiunge - una delle pagine di Facebook che sta indirizzando le rivolte è gestita da un membro dei Fratelli musulmani residente in Svezia e sta assumendo una sfumatura sempre più religiosa che molti attivisti rifiutano". Si sa anche dai dispacci di Wikileaks che i dissidenti esiliati residenti a Washington e Londra sono appoggiati dagli Stati Uniti e non godono di grande popolarità in Siria.
Il 19 maggio intanto, mentre il presidente siriano definiva la crisi "giunta alla sua fine", gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzioni contro Bashar al Assad e sei dei suoi principali collaboratori per abusi di potere e violazioni dei diritti umani dopo due mesi di proteste che, secondo fonti delle Nazioni Unite e di organizzazioni umanitarie, avrebbero provocato almeno 850 morti, in massima parte civili, e migliaia di arresti illegali.
Per eventuali approfondimenti si veda il sito italiano www.asianews.it
Manuela Borraccino (maggio 2011)
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