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Si è svolta a Toronto (16-18 giugno) la prima Conferenza mondiale su università e media promossa dalla testata internazionale online "University World News", dal mensile americano "Inside Higher Education" e dalla Confederazione delle Associazioni universitarie dell'Ontario: un'occasione per analizzare l'influenza dei media sulla percezione dell'istruzione universitaria e capire come le università collaborino con i media nel formare la pubblica opinione sul ruolo dei saperi nel mondo contemporaneo.
Tra gli aspetti della vita universitaria che dovrebbero interessare i media, ad esempio in Africa, ci sono le ricerche sulle energie rinnovabili, che potrebbero avere un ruolo dirompente nell'accesso all'energia. Per quanto riguarda i tradizionali indicatori di produttività accademica e le graduatorie universitarie internazionali, ci si è domandato se ci sia sufficiente consapevolezza sui mass media di quanto i ranking universitari possano dirottare gli obiettivi nazionali di sviluppo nei Paesi poveri. Anche la diminuzione di libri di testo accademici pubblicati nei Paesi in via di sviluppo è dovuta da una parte alla preferenza per le pubblicazioni di saggi più o meno brevi in riviste specializzate, dall'altra alle disuguaglianze nella comunità accademica che porta gli accademici del Sud del mondo a cercare opportunità di pubblicazioni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Ma soprattutto i media e le università devono dare voce ai più emarginati, non solo per ragioni morali ma anche strategiche: il mondo si sta integrando sempre più velocemente, e in ciascun Paese le priorità sono sempre più globali piuttosto che nazionali.
Grande spazio agli accademici
Fin dai primi sussulti della "rivoluzione dei gelsomini" che ha travolto il regime di Ben Ali in Tunisia, l'emittente del Qatar Al Jazeera ha saputo favorire più di tutte le altre emittenti internazionali non solo la conoscenza dei fatti e la narrazione dei sentimenti di ribellione che si propagavano da una capitale all'altra, ma soprattutto ha fornito per la prima volta ai docenti universitari del mondo arabo una piattaforma di analisi degli avvenimenti.
«Nel descrivere i fatti - ha spiegato Tony Burman, ex-direttore commerciale dell'edizione in inglese di Al Jazeera e attualmente responsabile delle strategie editoriali per l'America - il nostro intento è quello di dar voce ai punti di vista di chi vive nei Paesi in via di sviluppo. E questo perché molte componenti delle nostre società vengono escluse dal dibattito pubblico. Al Jazeera si è sforzata, per esempio in Tunisia, di far sì che queste voci vengano ascoltate malgrado il governo, anche se non è nostro compito determinare il risultato. In molti Paesi gli accademici desideravano parlare con Al Jazeera e vedere riportati i propri punti di vista; c'è un certo disappunto per come gli altri media globali chiamano esperti occidentali oppure espatriati a commentare i fatti, cosicché in realtà vengono diffuse le interpretazioni di chi vive fuori dal Paese interessato. Al Jazeera cerca di fare l'opposto. Abbiamo reporter che vivono lì e nella loro azione di denuncia hanno avvicinato i docenti universitari di quei Paesi». In Egitto, ad esempio, i professori hanno vissuto nelle settimane delle proteste una maggiore libertà di espressione. «Abbiamo inserito nelle nostre storie il punto di vista degli universitari, molte delle proteste della Primavera araba sono state trainate dai giovani, in gran parte studenti universitari, e abbiamo raccontato molto di quanto stava avvenendo dal punto di vista degli studenti». Al Jazeera «ha dato molta enfasi al ruolo e al valore dell'università nei cambiamenti e negli sviluppi sociali». Il risultato è stato che, vista la grande partecipazione dei giovani e dei loro insegnanti, anche i genitori di quegli studenti, più disfattisti e sfiduciati sulla possibilità di rovesciare regimi trentennali, sono stati coinvolti nella protesta e hanno partecipato alla straordinaria sollevazione democratica di questi mesi.
Manuela Borraccino (luglio 2011)
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