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Le difficoltà occupazionali giovanili stanno sempre più guadagnando l'attenzione degli Organismi internazionali, che suggeriscono innanzitutto una maggiore cooperazione tra le Università e il mondo del lavoro.
A gennaio 2012, durante l'annuale World Economic Forum svoltosi dal 25 al 29 a Davos-Klosters (Svizzera), il Direttore Generale dell'International Labour Organization (ILO) Juan Somavia ha lanciato un appello a favore di un nuovo modello politico in grado di promuovere in tutto il mondo una crescita dei posti di lavoro per i 75 milioni di giovani disoccupati (4 su 10 nel mondo) nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni. Tra le azioni a favore dei giovani, Somavia ha fatto riferimento anche al ruolo critico dell'istruzione e della formazione, evidenziando la necessità di evitare sprechi di competenze e di risorse che comportano un alto costo per l'economia e la società. Germania, Austria, Danimarca, Svizzera e Norvegia offrono, a suo avviso, un valido modello di riferimento, basato sui sistemi duali di apprendistato, che combinano opportunità di istruzione tradizionale alla formazione in azienda.
Recentemente il World Economic Forum ha pubblicato il Rapporto "Talent Mobility and Practices: Collaboration at the Core of Driving Economic Growth" che, elaborando le risposte fornite da 4.000 esperti distribuiti in 45 Paesi, offre 55 azioni di "best practices" messe in atto a livello mondiale da istituzioni governative e universitarie per incoraggiare la formazione dei talenti, risorsa strategica per rafforzare la competitività. Sono inclusi anche esempi di mobilità geografica ad alto livello formativo, temporanea e permanente, di persone in formazione al di fuori dei Paesi d'origine e di delocalizzazione aziendale per acquisire le competenze lavorative richieste.
Sulla problematica si è soffermato anche il Seminario del CNEL "Giovani e Mercato del lavoro: "Policies" europee ed internazionali a confronto", nel quale sia i rappresentanti dell'OCSE che della Comunità europea hanno concordemente ribadito l'esigenza di un sistema formativo pertinente e in funzione del mercato del lavoro. I dati OCSE ricordano che un anno dopo aver lasciato la scuola o l'Università, più di un terzo dei giovani cittadini dei Paesi più sviluppati (e la metà di quelli italiani) sono ancora disoccupati o inattivi. La transizione formazione-lavoro è divenuta più complessa, rendendone più difficile l'analisi. Quel che conta non è però soltanto la quantità dei posti-lavoro, ma la qualità di un'attività lavorativa, che non sia soltanto mezzo di sussistenza e che sin dall'inizio possa dispiegare benefici effetti per il resto della vita.
Maria Luisa Marino (24 febbraio 2012)
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