Guerini studio, Milano 2011, pp. 191, 23 euro
L’università dovrebbe essere un
network, un’azienda, meno dipendente dal Ministero e più da un
management preparato, con
corporate governance simile alle società private. Proprio perché gli spazi di autonomia favoriscono differenziazione, competitività e originalità essenziali per l’università del futuro: un’istituzione che è cambiata e si è internazionalizzata con il
Processo di Bologna e la
Convenzione di Lisbona. No quindi all’egualitarismo e a soluzioni standardizzate, che portano al declino. Lo sostiene in questo volume Matteo Turri, ricercatore e professore aggregato di Economia alla Statale di Milano, che propone per l’università strategie aziendaliste e non da istituzione pubblica, e mette la realtà italiana a confronto con quelle europea e statunitense.
A sostegno della sua idea, ripercorre la storia dell’università, da quella medievale – quando le università erano istituzioni autonome per pochi eletti – a oggi, quando il legame con il governo (il ministero) è strutturale e l’università è di massa. Alla nascita degli Stati moderni le università sono legate al governo. Nel 1810 von Humbolt fonda l’Università di Berlino e unisce didattica e ricerca. Per il cardinale Newman (1852) l’università ha come scopo la promozione della conoscenza senza contatti con il settore applicativo. Esattamente l’opposto di quanto avviene in America, dove la ricerca è collegata al mondo del lavoro, secondo il modello californiano.
Turri, analizzando l’università dal punto di vista economico-organizzativo, indica i limiti delle riforme che non risolvono i problemi. Il percorso di innovazione inizia nel 1989, quando il ministro Ruberti – già rettore della “Sapienza” di Roma – presenta il disegno di legge che avrebbe istituito il Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica (MURST). Viene ridisegnata la mappa della governance: la configurazione del Consiglio Universitario Nazionale, il rafforzamento della Conferenza dei Rettori, l’istituzione del Consiglio Nazionale degli Studenti e l’Osservatorio permanente per la Valutazione del sistema universitario. Aumentano le università (che diventano 70), proliferano le sedi decentrate e cambia il sistema di finanziamento. Turri descrive i limiti di questo processo di autonomia, ma ritiene positive le partnership con il mondo economico.
Alla fine degli anni Novanta il ministro Berlinguer introduce nuove regole per il reclutamento dei professori: secondo Turri si frammenta ulteriormente la realtà università italiana e le nomine dei docenti – nonostante il decentramento – seguono sempre le stesse logiche. Intanto continua ad aumentare il numero delle università: nel 2006 sono 95 (comprese le non statali e le telematiche), si moltiplicano i ricercatori e gli aggregati. Ma la vera svolta non arriva. Anzi, nel 2008 si decurtano ulteriormente i finanziamenti.
Proposte, più che soluzioni, quelle dell’autore, sempre nell’ottica di università/impresa forte e competitiva.
Marialuisa Viglione
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