Sviluppolocale edizioni, giugno 2011, 12 euro, 235 pgg.
‘Quando il medico parla arabo’ affonta una “questione molto specifica, relativa all’inclusione dei migranti altamente qualificati: quella del riconoscimento dei titoli di studio e qualifiche professionali dei titolari di protezione internazionale (TPI), ossia quella parte di migranti definiti ‘forzati’, perché spinti all’esilio da persecuzioni individuali o collettive, conflitti o altre calamità che hanno fatto temere per la loro vita”, afferma Giuliana Candia nell’Introduzione.
Questo tema è stato al centro del progetto Pro.Ri.Ti.S. (“Programma pilota per le procedure di Riconoscimento dei Titoli di studio di titolari di protezione internazionale”), coordinato da: Parsec-Associazione di Ricerca e Interventi Sociali in partenariato con l’Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione, la Cooperativa CoGeS e Nova onlus-Consorzio Nazionale per l’Innovazione sociale.
Sono stati coinvolti nella ricerca: 11 rappresentanti dei Ministeri competenti; 22 uffici di riferimento per gli studenti stranieri presso altrettante Università italiane; 18 rappresentanti di Università, 2 di un Ufficio Scolastico Provinciale e 3 di Centri territoriali permanenti; 47 referenti di servizi per l’accoglienza, l’orientamento, l’integrazione, la tutela e l’inserimento socio-lavorativo di TPI; 15 referenti di servizi a Torino e a Milano; 15 persone beneficiarie di protezione internazionale o umanitaria che hanno avviato o almeno svolto una parte delle pratiche necessarie ad avviare la procedura di riconoscimento del proprio titolo di studio.
Il sesto capitolo – redatto da Laura Giacomello e Giulia Rellini - descrive nel “dettaglio l’articolazione dei diversi percorsi che si aprono a chi voglia riconoscere il proprio titolo per fini formativi; vengono illustrate inoltre le caratteristiche delle amministrazioni responsabili delle procedure, le problematiche espresse dai referenti di queste ultime e più complessivamente da tutti gli intervistati e vengono presentate le proposte di miglioramento”.
“La ricerca ha evidenziato – affermano Giacomello e Rellini - come non tutti gli uffici che si occupano di equipollenza dei titoli siano consapevoli dell’equiparazione esistente tra TPI e cittadini italiani, probabilmente a causa di una scarsa dimestichezza con casi che riguardino rifugiati, ma anche di una non sufficiente informazione. Rispetto all’accesso all’istruzione universitaria, l’equiparazione ai cittadini italiani dei TPI consente a questi ultimi di iscriversi senza dover rispettare le restrizioni numeriche previste per gli altri cittadini stranieri” e stabilite dal MIUR.
La normativa in materia di riconoscimento del titolo per finalità accademiche individua nelle università e negli istituti di istruzione universitaria i soggetti competenti per tutti i percorsi delineati (iscrizione ad un corso di laurea, abbreviazione di corso o di carriera; equipollenza; iscrizione a corsi post-lauream). Sono dunque gli atenei a valutare e ad accogliere i titoli”, con un ampio margine di variabilità negli esiti delle valutazioni, dovuta anche all’autonomia universitaria. Esistono comunque dei tentativi di coordinamento tra i diversi atenei, messi in atto dal CIMEA e da altre esperienze nate in ambito internazionale, come quella relativa al cosiddetto Processo di Bologna.
Quali son le criticità – e le possibili soluzioni- emerse dalla ricerca?
1-Emerge una carenza sostanziale di informazioni: a volte, le persone incaricate alla gestione delle pratiche per il riconoscimento di un titolo di studio conseguito da un rifugiato ignorano le condizioni di vita e le limitazioni specifiche di un TPI, o non sono in grado di “leggere” un permesso di soggiorno. Per rispondere a queste problematiche, alcune università (Trieste, Venezia Ca’ Foscari, Politecnico di Torino) hanno attivato forme di collaborazione con le Questure;
2- Quanto alla gestione diretta delle pratiche di riconoscimento dei titoli, diversi intervistati non conoscono il ruolo precipuo del MAE in relazione alla popolazione rifugiata; la situazione è peggiorata anche a causa della chiusura del Servizio Sociale Internazionale-(SSI).
3- Tutti gli intervistati individuano come assolutamente primaria, tra le criticità incontrate da un rifugiato che voglia vedere riconosciute le sue qualifiche, la questione della documentazione: da una parte, per i TPI, in molti casi, è impossibile reperire i documenti necessari; dall’altra, le amministrazioni competenti si trovano in seria difficoltà a valutare la qualifica di un candidato senza documentazione di supporto. Alcune università hanno intrapreso percorsi alternativi e sperimentali per consentire ai candidati di proseguire i loro studi universitari, attraverso l’attivazione di procedure senz’altro complesse, ma evidentemente praticabili. Per Gacomello e Rellini “la costituzione di una banca data nazionale,che consenta l’accesso a (e l’inserimento di) informazioni a tutte le università italiane, potrebbe aiutare a costruire una casistica tale da facilitare i percorsi di riconoscimento titoli di studio dei TPI, attraverso valutazioni per analogia” o reperimento di informazioni utili.
4- Altre criticità riguardano i tempi e i costi necessari per il riconoscimento di un titolo di studio. Mentre per i tempi viene richiesta l’adozione di misure integrative per l’ottenimento dell’equipollenza, sul fronte dei costi, emergono due questioni: la prima riguarda i costi – molto onerosi- per la traduzione della documentazione da produrre per richiedere il riconoscimento di un titolo: gli autori del saggio propongono di renderla non obbligatoria (come accade per alcuni atenei e per alcune lingue), o di accettare una traduzione fatta dallo stesso candidato; la seconda questione, più complessa, riguarda gli alti costi da sostenere per frequentare l’università (tasse, libri di testo, alloggio): i curatori suggeriscono l’istituzione di un sistema (o l’integrazione dei sistemi esistenti) per il finanziamento di borse di studio dedicate ai TPI.
Nell’ambito della ricerca è stato elaborato anche una bozza di Protocollo d’intesa per il Riconoscimento dei Titoli di Studio conseguiti dai Titolari di Protezione Internazionale nel loro paese d’origine e una bozza di Protocollo d’intesa con i commenti dei partecipanti ai Tavoli di concertazione.
Luca Cappelletti