Egea-Università Bocconi, Milano 2011, 184 pp., 18 €
Vari esperti hanno indicato nell’abbondanza di risorse energetiche la ragione della mancanza di democrazia nella maggior parte dei Paesi che le possiedono. Ma questo non basta a spiegare l’arretratezza di Nord Africa e Medio Oriente. Per trasformare le rivoluzioni del 2011 in un’opportunità di sviluppo occorre ripartire dal capitale umano e dagli investimenti di un vero partenariato euro mediterraneo, sostengono gli economisti Rony Hamaui e Luigi Ruggerone in Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazia.
Hamaui e Ruggerone, alti dirigenti del gruppo Intesa Sanpaolo e docenti rispettivamente di Economia monetaria e di Economia dei Paesi emergenti all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prendono le mosse dall’analisi dei principali indicatori di sviluppo dei Paesi del Medio Oriente e Nord Africa (MENA) per spiegare la Primavera araba. Perché questi Paesi non sono riusciti ad approfittare delle opportunità create dalla globalizzazione dei mercati come hanno fatto il Brasile, la Corea, la Cina, l’India, la Turchia? Qual è il peso dei retaggi storici, geografici, religiosi, culturali in questa regione?
Ripercorrendo con rigore scientifico e chiarezza divulgativa le analisi degli ultimi anni sulle ragioni dell’arretratezza dell’area, gli autori cercano di capire se l’Islam abbia costituito, e tuttora costituisca, un ostacolo non solo alla democrazia e all’apertura al resto del mondo, ma anche allo sviluppo economico; l’analisi indica inoltre nella corruzione, nella mancanza di infrastrutture e nella frammentazione etnica, linguistica, culturale e religiosa un impedimento alla crescita economica.
I due studiosi esaminano il ruolo che gli investimenti sul capitale umano possono giocare nel risollevare l’economia e la società civile di questi Paesi. Oltre alla diffusione di Internet, gli altri due elementi cruciali per l’organizzazione delle proteste politiche del 2011 sono stati l’età media della popolazione e il suo grado di istruzione: tra bassi salari e crescente disoccupazione, è soprattutto la mancanza di prospettive per la fascia più giovane e scolarizzata della popolazione il problema più serio che molti Paesi arabi non produttori di petrolio si trovano di fronte. In molti di questi Paesi la quota di laureati in Ingegneria è aumentata molto rispetto agli anni Sessanta: alla fine degli anni Novanta in paesi come il Bahrein, il Marocco e la Siria erano il 30% del totale, in linea con la Cina; in Algeria tale percentuale era superiore al 40%, più elevata della Corea del Sud. I rapporti dell’Unesco sottolineano carenze rilevanti nella “qualità” del capitale umano accumulato. Ma restano indubbi i successi legati all’allargamento dell’educazione e la scarsa possibilità di trovare un lavoro adeguato al livello di istruzione acquisita.
Negli ultimi decenni, questi giovani più istruiti dei loro genitori hanno manifestato il proprio disagio con l’emigrazione. Ma la crisi economica in Europa e Stati Uniti ha reso più difficile anche questa valvola di sfogo e i connessi benefici da essa prodotti con le rimesse dall’estero. Occorre dunque ripartire da loro, da questi laureati e dalle loro capacità e competenze, per creare ricchezza e sviluppo. Solo rilanciando la cooperazione mediterranea inaugurata dal Processo di Barcellona nel 1995 e mai realmente perseguita dall’Unione per il Mediterraneo nuovamente naufragata dopo il 2008, il Mare Nostrum tornerà ad essere volano di sviluppo per entrambe le sue sponde.
Manuela Borraccino