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Nell'ottica dello Spazio europeo per l'istruzione superiore (EHEA), sono state realizzate significative esperienze di inserimento dell'inglese nei corsi universitari presso Atenei italiani (oltre un centinaio), al punto da rendere ormai obsoleto il censimento effettuato nel 2007 dalla CRUI.
Recentemente è stata siglata una Convenzione tra il MIUR e l'Università di Cambridge ESOL Examinations per la predisposizione dei test d'ingresso per italiani e stranieri ai corsi in inglese a numero chiuso. A decorrere dal 2014 poi il Politecnico di Milano organizzerà i corsi del biennio magistrale esclusivamente in inglese. Una scelta che, secondo quanto detto dal ministro Profumo in un'intervista alla Stampa, "dovrà diventare normale in alcuni atenei di prestigio e in alcuni settori", seppure attraverso un processo di transizione guidato e andare di pari passo con un'opera di promozione internazionale del sistema Italia.
Una decisione che ha aperto però un serrato dibattito tra gli uomini di scienza e gli umanisti, timorosi che l'internazionalizzazione comporti il sacrificio della lingua nazionale, che occupa ancora un ruolo di eccellenza mondiale nel campo degli studi classici, letterari, filologici e storici.
Il 27 aprile 2012, la Società Dante Alighieri e l'Accademia della Crusca hanno svolto una Tavola rotonda sul tema "Quali lingue per l'insegnamento universitario?". Dal dibattito sono emersi problemi e interrogativi di vasta portata: innanzitutto il dubbio che nel "volgere di pochi anni la nostra lingua potrebbe trovarsi mutilata e inadatta alla trasmissione del sapere scientifico". Poter effettuare gli studi in inglese, senza lasciare il territorio nazionale, potrebbe comportare un significativo risparmio economico alle famiglie; al tempo stesso potrebbe rischiare di "erigere barriere all'accesso agli studi superiori per una parte di studenti, che hanno alle spalle il semplice apprendimento scolastico". Non a caso l'Italia - in una Ricerca effettuata da EF Education - figura al quart'ultimo posto su 19 nella classifica dei Paesi europei per il livello di preparazione in lingua inglese (dopo il nostro Paese si piazzano solo Spagna, Russia e Turchia) e nella classifica mondiale, capeggiata dalla Norvegia, scende al 23° posto, posizionandosi tra Costarica e Spagna. Una fattispecie debitoria, ulteriormente confermata anche dall'indagine del Censis e dal Sondaggio Eurispes 2011 "Conosci le lingue estere", che evidenziano come due su tre intervistati attribuiscano le difficoltà nella conversazione proprio alla carenza del sistema scolastico (70,1%) e alla scarsità delle occasioni di scambio e di incontro in una prospettiva interculturale.
Maria Luisa Marino (14 maggio 2012)
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