Liguori, Napoli 2010, pp. 178, € 18,90
Per entrare nel mondo del lavoro c’è bisogno di altre qualificazioni universitarie, oltre alla laurea, sostiene Luigi Berlinguer nella prefazione. Secondo l’ex-ministro è urgente superare il modello educativo della lezione a favore delle nuove tecnologie comunicative e dell’approccio internazionale, perché «un titolo di studio a sola valenza nazionale non favorisce lo sbocco lavorativo. Il primo problema dei corsi universitari è produrre titoli riconoscibili e applicabili fuori dai confini nazionali».
Il volume studia lo stato di realizzazione della riforma, monitorando tra l’altro sei università italiane: Milano Bicocca, Pavia, Urbino, Sassari, Venezia Ca’ Foscari e Genova. Da interviste a docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti, emerge un’università scollegata dal contesto economico-lavorativo (Urbino, Venezia, Sassari); un inadeguato sistema di verifica sul livello di preparazione degli studenti prima di affrontare il ciclo di studi post-secondari, causa di molti abbandoni; il proliferare di professori a contratto, rispetto agli ordinari, a causa della riduzione dei fondi, non giova a un’offerta formativa stabile; la struttura a due cicli è spesso fraintesa. Da un lato c’è l’aspirazione a seguire il modello anglosassone dei bachelor, per una formazione culturale di base, dall’altra, in un’interpretazione più recente, si pensa che il primo ciclo debba fornire agli studenti competenze professionalizzanti in modo che dopo tre anni di studio si possa entrare nel mercato del lavoro. Dall’inchiesta risulta che l’università italiana offre numerosi programmi di primo ciclo professionalizzanti, alcuni dei quali concentrati su mercati di nicchia, come a Venezia Ca’ Foscari: economia e gestione dei servizi turistici, economia e gestione delle arti e delle attività culturali, internazionalizzazione delle imprese, economia e gestione dello sviluppo rurale, grafologia e altri.
Nelle conclusioni Moscati si chiede se questa riforma sia davvero funzionale all’Italia, e ritiene che manchi una strategia politica: la ricerca scientifica e quindi l’università non hanno un ruolo centrale, come accade in altri paesi europei. La riforma privilegia l’autonomia ma non ha avuto successo, conclude Moscati: marginalizzando l’università, si marginalizza il Paese.
Marialuisa Viglione