Ventidue anni fa Universitas pubblicò uno scritto di Sergio Pininfarina (IL TRIANGOLO DELLA QUALITÀ, n. 35 del 1990, ripubblicato a stralci sul n. 125 in uscita nei prossimi giorni) che aveva come oggetto l'Europa, la formazione dei giovani, il rapporto tra università e impresa. Gli abbiamo chiesto quali fossero le sue opinioni oggi. Abbiamo ricevuto questo testo l'8 giugno scorso: uno scritto che dimostra ancora una volta la lungimiranza e l'apertura mentale di un uomo che ha saputo portare l'industria italiana al successo mondiale.
Ringrazio la rivista "Universitas" per avermi dato l'occasione di rileggere un mio testo di oltre 20 anni fa sul tema della formazione di alto livello e dei suoi rapporti con il mondo della produzione. Ritrovo in quelle considerazioni alcuni punti chiave di quel che è stato il ruolo dell'università e della scuola in Italia negli ultimi 50 anni: quello del sostegno della cultura umanistica, come base su cui innestare una continua evoluzione della cultura scientifica. Dunque, le solide basi della tradizione al servizio dell'innovazione e del cambiamento.
Allora accompagnavo questa riflessione di base - dove ampio spazio spetta all'industria, per il contributo alla cultura scientifica, non solo nelle sue applicazioni - alla speranza di un disegno della società in movimento che, in una prospettiva europea, consentisse di superare gli ostacoli interni in una dimensione continentale.
Tre gli obiettivi, di allora e di oggi: il progresso sociale, il progresso economico, la stabilità politica.
L'Europa ora è una realtà, ma purtroppo ha sofferto di un eccessivo irrigidimento, anche burocratico, e delle troppe differenze culturali tra i suoi popoli: riecco quindi l'esigenza della cultura umanistica. Ma ci ha anche dato un formidabile stimolo nella direzione della ricerca e ci ha consentito di operare in modo rigoroso nel rispetto dei fondamentali dell'economia, con l'euro.
La crisi che stiamo attraversando sarebbe stata molto peggiore senza l'Europa, che pur mostra i suoi tantissimi limiti, soprattutto con la mancanza di un vero spazio politico europeo, mentre si sono formati lo spazio sociale, quello economico, quello della ricerca e della formazione.
Possiamo procedere in positivo? Certamente sì, con strumenti di coesione sempre maggiori, anche grazie alla fantastica opportunità della comunicazione a tutti i livelli tramite internet, innovazione che nel 1990 facevamo fatica a immaginare.
Al centro devono essere posti i giovani e la loro formazione, dedicando - anche in tempo di crisi - il massimo dello sforzo per indirizzare risorse in quella direzione. Si pensi al successo della Germania, che si fonda in particolar modo sulle risorse investite in formazione e ricerca; altrettanto ha fatto la piccola Svizzera, che sta proponendosi alla guida di molti dei grandi progetti d'innovazione del Vecchio Continente. Per concludere, un brevissimo accenno campanilistico e personale: si pensi a quanto sia importante per Torino il suo Politecnico, dove ebbi l'onore di laurearmi tanti anni or sono.
Nel caso italiano l'eccellenza è raggiunta, nonostante la drammatica scarsità delle risorse che invece devono essere trovate con un'azione pubblica straordinaria contro la crisi, cui si accompagni un parallelo impegno dell'industria, pur nel quadro di difficoltà di questi anni.