Apes, Roma 2012, pp. 148, € 15
Questo libro, con dati dettagliati sulla situazione italiana, spagnola e tedesca – paesi “federalisti” a livello di offerta formativa – spiega come le università affrontano l’internazionalizzazione nel loro regionalismo.
Il terremoto del 1980 in Irpinia, Sannio e Basilicata accelera la nascita della nuova università della Basilicata, regione in cui sino ad allora non esistevano atenei. L’università rientra nel quadro della ricostruzione delle aree terremotate e si qualifica subito per la sua dimensione regionale, coniugando le potenzialità scientifiche e i bisogni reali della società. Le prime facoltà attivate rispondono ad alcune esigenze primarie: Agraria per il rilancio dell’agricoltura; Ingegneria per la messa in sicurezza del territorio e per il processo di ricostruzione, Lettere e Filosofia, e il corso di laurea in Lingue e letterature straniere come segnale di internazionalizzazione.
«Prima le fabbriche e poi le chiese» è lo slogan della ricostruzione del Friuli dopo il terremoto del 1976. Soprattutto la fabbrica della conoscenza. La prima legge sulla ricostruzione del Friuli sancisce la nascita dell’Università di Udine, sorta sulla base di un patto con il territorio.
L’Università del Molise, a Campobasso, istituita nel 1982, attiva la facoltà di Agraria con il corso di laurea in Scienze delle preparazioni alimentari e la facoltà di Scienze economiche e sociali.
Le Università di Aosta e Bolzano sono finanziate dalla Regione autonoma della Valle d’Aosta e dalla Provincia autonoma di Bolzano. Entrambe valorizzano le minoranze di lingua francese e tedesca, soprattutto nella preparazione degli insegnanti dove il bilinguismo è consolidato.
Ci sono università che nascono per volontà di imprenditori locali, come la Bocconi, fondata da Ferdinando Bocconi nel 1902; oppure la Luiss di Roma, gestita dall’associazione amici della Luiss, gruppo di imprese, banche ed enti pubblici; la Liuc di Castellanza, nata per iniziativa di 300 imprenditori, prepara i professionisti d’impresa coniugando la cultura con le esigenze del territorio. L’Università Lum Jean Monnet, prima università privata del Sud Italia, ha come obiettivo lo sviluppo del territorio nell’ottica del rilancio del Mezzogiorno.
Carlo Finocchietti passa in rassegna le università italiane nate a sostegno delle aree produttive specializzate delle diverse regioni italiane, come è il caso formativo e industriale di Biella, in cui eccelle l’ingegneria tessile.
Manuela Costone analizza le leggi e i protocolli d’intesa Stato-Regioni per rafforzare le università mantenendo l’autonomia delle regioni e degli atenei. In Lombardia si è scelta la strada di rafforzare la ricerca e il diritto allo studio siglando un protocollo d’intesa tra Regione e Miur. La Regione Campania ha firmato un accordo di programma con il Miur e le sette università campane per razionalizzare l’offerta formativa e offrire servizi più efficienti. La Toscana si sta organizzando per la creazione di un maxidistretto universitario per rilanciare gli studi nella regione a livello internazionale.
Il federalismo universitario caratterizza anche altri paesi europei. In Spagna, ad esempio, le Regioni aumentano le competenze a scapito del centro e negli ultimi venti anni si sono sviluppati sistemi universitari regionali. Marzia Foroni approfondisce i sistemi di valutazione e di finanziamento e descrive il caso catalano, con una forte identità, storia e lingua proprie.
L’esperienza federale della Germania è affrontata da Claudia Checcacci. Due le riforme verso il federalismo: Foederalismusreform I del 2006 e Foederalismusreform II del 2009, con un incremento della spesa pubblica destinata all’istruzione. La studiosa ne affronta i limiti e i punti di forza, sempre nell’ottica dell’internazionalizzazione, della ricerca e della formazione d’eccellenza.
Marialuisa Viglione