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Negli ultimi due decenni, i sistemi di istruzione superiore nei paesi dell'Est europeo hanno vissuto un periodo di rapida trasformazione.
In Ucraina, secondo dati UNESCO, tra il 2000 e il 2009 il numero di iscritti all'università è aumentato del 185%, e la percentuale di studenti universitari rispetto al totale delle persone in età eleggibile è passata dal 47% nel 1999 al 79% nel 2008, trasformando il sistema ucraino in uno ad accesso quasi universale. La crescita è stata assorbita attraverso l'ampliamento dell'offerta delle università pubbliche e l'incoraggiamento allo sviluppo di quelle private ma, come per molti altri paesi dell'Est Europa, l'allargamento dell'accesso all'università si è accompagnato alle preoccupazioni legate alla diminuzione della qualità e alla ristrettezza dei fondi.
Nel 2005, nel tentativo di aumentare il credito del proprio sistema universitario su scala internazionale, l'Ucraina ha aderito al Processo di Bologna, unendosi all'impegno di molti paesi per l'armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore, attraverso la ridefinizione dei curriculum, il passaggio alla struttura articolata sui tre cicli e la valutazione di qualità effettuata da organismi di nazioni diverse. Studi recenti hanno evidenziato come l'impegno per il cambiamento, legato alla scelta di aderire al processo di Bologna, collegato alla situazione di austerità economica che il paese sta attraversando, si sono tradotti in una pressione molto forte sul personale accademico, percepita sia a livello individuale che istituzionale.
In uno studio[1] condotto nel maggio 2010 si è cercato di valutare, su un campione di 32 accademici e 7 amministrativi del personale di una importante e prestigiosa università vicino Kiev, l'impatto di quattro elementi concomitanti di pressione: la diminuzione del numero degli iscritti, dovuta al decremento del tasso di natalità a partire dall'inizio degli anni Novanta, tradottosi in un calo di introiti per l'università; la crisi economica e la conseguente situazione di austerità fiscale; il grande impegno di cambiamento richiesto per l'adeguamento al processo di Bologna; una forte spinta verso la produzione di ricerca scientifica, anch'esso uno degli effetti dell'adesione al processo di Bologna.
Le risposte raccolte convergono su tre punti fondamentali.
Il primo riguarda l'impostazione delle università ucraine, ancora fortemente centrata sulla didattica. Un docente deve dedicare dalle 750 alle 900 ore all'anno alla didattica e al rapporto con gli studenti: tale carico di lavoro viene stabilito a livello centrale dal Ministero dell'educazione e della scienza. Sulla didattica è quantificato il salario dei professori, remunerazione considerata insufficiente per i bisogni quotidiani (da 170 fino a 500 euro al mese per i ruoli di maggior responsabilità) e che porta molti dipendenti a svolgere un secondo lavoro (l'80% degli intervistati).
In secondo luogo i docenti hanno consapevolezza che da un lato il cuore dell'attività è la didattica, sia in termini di motivazione sia di corrispettivo economico; dall'altro la sicurezza del loro posto di lavoro è legata al numero di pubblicazioni e alla quantità di ricerca prodotta, sia a livello personale per l'avanzamento di carriera, sia a livello istituzionale per il prestigio dell'università in ambito scientifico.
Il terzo elemento di difficoltà è che la pressione per la produzione di ricerca scientifica spesso porta i docenti a puntare più sulla quantità che sulla qualità: gran parte degli articoli del personale accademico sono pubblicati o su riviste stesse dell'istituzione, o su quelle di università vicine, con una ricaduta e una circolazione ristretta e che difficilmente esce dai confini nazionali.
In conclusione lo studio mostra una università in Ucraina stretta tra la pressione di forze contrastanti: da un lato obiettivi e procedure tradizionali, interiorizzati e consolidati; dall'altro indicazioni di cambiamento che arrivano dall'esterno e una forte pressione politica in tal senso. Queste due forze contrastanti trovano un punto di collisione diretto soprattutto sul fronte della ricerca, dove la pressione esterna per maggiori risultati si scontra con le motivazioni professionali, con l'articolazione della remunerazione economica e con la necessità di avere un secondo impiego. Il risultato a livello istituzionale e individuale è un'università "sdoppiata" che corre su due binari paralleli, in cui formalmente si rispettano e si adempiono le richieste provenienti dall'esterno, ma dove nella prassi del lavoro quotidiano si cerca di mantenere la tradizionale impostazione.
Chiara Finocchietti (25 luglio 2012)
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