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In Italia è indispensabile attuare un sapiente mix per "rendere le politiche nel campo della scienza, della tecnologia e dell'innovazione maggiormente orientate alle imprese" e "potenziare i rapporti tra le imprese, le università e il sistema di ricerca pubblico" anche con programmi "volti al collocamento in azienda e sponsorizzazione condivisa di dottorandi". Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel rapporto Ocse "Italia. Dare slancio alla crescita e alla produttività", pubblicato a settembre 2012, che conferma l'urgenza di collegare maggiormente l'istruzione superiore e il mondo del lavoro. La pubblicazione sulle "Politiche migliori" che andrebbero adottate nei vari Paesi giunge poco dopo l'allarme sull'Italia fanalino di coda nell'istruzione superiore lanciato dal Rapporto OCSE 2012 "Uno sguardo all'istruzione" (Education at a Glance 2012).
È vero che con l'arrivo della laurea breve la percentuale di laureati in Italia è aumentata, con il 21% nella fascia di popolazione fra i 25 e i 34 anni a fronte dell'11% nella fascia d'età 55-64, ma il nostro Paese resta ancora al penultimo posto tra i 34 Paesi dell'Ocse, alla pari con l'Austria e davanti solo alla Turchia (17%), rispetto ad una media Ocse del 38% e a quella dell'Europa a 21 del 35%. In totale l'Italia è al 15% di laureati, come il Portogallo e davanti alla sola Turchia (13%), a fronte della media Ocse del 31% e quella europea del 28%. Spicca l'avanzata delle donne, che rappresentano il 59% dei laureati, ma resta la bassa mobilità sociale in rapporto al censo di origine: il tasso di laureati nella fascia d'età 25-34 anni tra i figli di genitori a bassa istruzione è fermo al 9%, secondo quella che il Rapporto definisce una "trappola sociale" alla quale è difficile sfuggire.
Entrambi i rapporti enfatizzano come lo scarso collegamento fra università e mercato del lavoro continui a porre una pesante ipoteca sul futuro dei laureati: tra il 2002 e il 2010 il tasso di occupazione dei laureati è sceso dall'82,2% al 78,3% e il tasso di disoccupazione è salito dal 5,3% al 5,6%, mentre quello dei diplomati è lievemente sceso, dal 6,4% al 6,1 per cento. Amaro il dato sulle differenze retributive: se infatti nella fascia d'età 55-64 anni il salario medio dei laureati è quasi doppio rispetto a quello dei diplomati (+96%), questo differenziale è del 9% nella fascia 25-34 anni (quello medio Ocse è del 37%).
L'organizzazione parigina chiede ancora una volta all'Italia l'istituzione di corsi universitari "professionali" che in Italia sono assenti mentre nell'Ocse sfornano il 17% dei laureati. La necessità di valorizzare la cultura tecnica è confermata anche dal record negativo sui cosiddetti NEET (Neither in education nor employed): sono il 23% fra i 15 e i 29 anni i giovani che non studiano e non lavorano, una percentuale che fa dell'Italia la quartultima in classifica, seguita solo da Spagna (24%), Israele (27%) e Turchia (37%).
Se in generale la spesa annua per studente in Italia è sostanzialmente in linea con la media Ocse (9.055 dollari a fronte di 9.249), passando dall'asilo all'università i livelli di spesa cambiano parecchio: nell'istruzione terziaria la spesa per studente scende a 9.562 euro a fronte della media OCSE a 13.728 euro. In compenso il coinvolgimento dei privati nel finanziamento degli atenei è cresciuto in dieci anni del 77%: nel 1995 l'82,5% dei costi universitari erano sostenuti dal pubblico (media Ocse al 78,9%), mentre nel 2009 questa quota è scesa al 68,6% (media Ocse al 70%).
Manuela Borraccino (ottobre 2012)
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