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Euca, Brussels 2012
Se ormai tutti sanno che una laurea conseguita anche con il massimo dei voti non garantisce l’accesso nel mondo del lavoro, gli strumenti per arricchire il proprio profilo non sono facilmente identificabili. A descrivere come e dove ci si possa equipaggiare per la sfida del mondo del lavoro, fornendo il kit di sopravvivenza, scende l’indagine Soft skills in action. Halls of residence as centres for life and learning, curata da Maria Cinque, ricercatrice della Fondazione RUI e docente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.
Presentata a Bruxelles la scorsa estate nel corso dell’Assemblea generale di EUCA – European University College Association, che conta 194 residenze in 8 paesi europei –, l’indagine fa parte del più ampio progetto europeo ModEs (Modernising Higher Education through Soft Skills Accreditation) ed è frutto di una ricerca sulle modalità di insegnamento e di apprendimento delle cosiddette soft skills nei collegi universitari. Ma perché proprio i collegi? Perché al di là dei differenti modelli adottati in Europa e negli USA, nei collegi vi è l’adozione di un modello formativo fondato su attività educative focalizzate sulla centralità dell’alumno: contatti con le università, con le aziende, servizi di job placement, associazioni alumni, reti internazionali. Di qui la capacità delle residenze universitarie di essere “centres for life and learning”, dove l’apprendimento avviene oltre la classe e dove l’accesso e l’eccellenza si declinano sotto la radice comune del “merito”.
Vari studiosi di Oxford, fin dagli anni Cinquanta, hanno tentato – senza successo – di dimostrare che il modello college fa ottenere risultati accademici migliori. Studi condotti negli anni Settanta e negli anni Ottanta sia nei campus universitari americani sia nelle residenze universitarie europee, spesso esterne all’università, dimostrano che vivere con altri studenti comporta numerosi vantaggi, come quello di poter studiare con i propri colleghi, di ottenere attività di tutorato da studenti più grandi, di condividere problemi, soluzioni, etc. Naturalmente, vi sono differenze anche tra vivere in un campus e vivere in una residenza esterna e, sebbene nella prima condizione ci siano maggiori possibilità di integrazione accademica, nella seconda vi sono notevoli vantaggi dal punto di vista della socializzazione, dello scambio interdisciplinare e “meta disciplinare” (la cosiddetta cross fertilization a cui si accennava in precedenza), di scambio interculturale.
Gli studenti spesso provengono da realtà socio-economiche, culturali e anche da nazioni e continenti diversi. Associare, integrandolo, un programma europeo comune sulle soft skills ai curricula accademici e ai corsi di specializzazione post-diploma è l’obiettivo del progetto ModEs – finanziato nell’ambito del programma Lifelong Learning Erasmus Structural Network (2009-2012) –, fra i cui prodotti vi è l’indagine sulle best practices di insegnamento/apprendimento delle soft skills nei collegi universitari. Nei quattro paesi dell’indagine (Italia, Spagna, Polonia e Regno Unito) emerge un quadro complessivo in cui le soft skills si delineano come le nuove direttive di un processo di formazione che punta all’eccellenza, in un contesto globale di forte competitività, sia dei prodotti che delle idee. Sono le soft skills che i collegi offrono agli alumni la marcia in più, richiesta dalle aziende ai giovani laureati, capaci di favorire tutte le interconnessioni possibili, fra sfera cognitiva e sfera emotiva, etica e capacità di organizzazione, spirito di iniziativa, capacità di comunicazione, capacità di problem solving e di gestione dello stress.
Fabrizia Sernia
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