Eurostat Pocketbooks, Publications Office of the European Union, Luxembourg, edizione 2012, pp. 143
Suddiviso in tre parti e sette capitoli, il volume intende offrire ai decisori politici e alla comunità scientifica un dettagliato panorama della situazione europea in tema di scienza e tecnologia, focalizzando l’attenzione sui 27 Stati membri e su quelli candidati all’ingresso, effettuando, quando possibile, il raffronto anche con gli altri colossi mondiali del settore (USA, Cina, Giappone e Corea del Sud). Avvalendosi di grafici e tabelle statistiche, vengono passati in rassegna gli investimenti, i processi di formazione delle risorse umane impiegate e gli effetti in tema di produttività e di competitività.
Emerge così che nel quinquennio 2005-10 è cresciuto il numero degli addetti mediamente occupati nei settori scientifici del Vecchio Continente, pur con sostanziose differenze tra Paesi: la crescita maggiore in Portogallo (+15,3%), in Slovenia (+7,5%) e in Ungheria (+6,3%); diminuzioni in Romania (-4,7%), in Finlandia (-0,6%), nel Regno Unito (-0,3%), in Lettonia (-0,3%) e in Svezia (-0,1%). Con un impiego medio dei cosiddetti “ricercatori a tempo pieno equivalente” (RTE), equamente suddiviso fra le strutture produttive (45,3%) e le istituzioni universitarie (40,9%), mentre poco più di un decimo (12,7%) ha trovato una collocazione in settori pubblici.
Due dati accomunano tutte le realtà nazionali:
- ad eccezione della Lituania e della Lettonia, le attività di ricerca scientifica rappresentano ancora una tipologia occupazionale prettamente maschile, anche se le donne hanno numericamente superato già da tempo i colleghi nelle iscrizioni universitarie (l’Italia occupa il 2° posto al riguardo con il 58%), ma non in quelle dei cosiddetti settori disciplinari STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica);
– la disoccupazione ha generalmente risparmiato gli addetti dell’area scientifica, altamente qualificati.
Le statistiche sugli aspetti formativi indicano in particolare che nel 2009 circa un terzo della popolazione europea in età 20-29 anni era iscritto all’università; in Finlandia e in Grecia il tasso era del 46,5%, seguite da Lituania (41,5%) e Slovenia (40,2%). In media però solo uno studente su quattro – di cui il 30% appartenente al sesso femminile – ha scelto i settori scientifici e tecnologici.
I dati evidenziano in parte anche lo spread tra Paesi, avvertito sul piano economico: la percentuale dei laureati STEM rispetto alla popolazione in età 20-29 anni varia dal 3,8% del Regno Unito al 3,6% della Germania (che pure conta un minore tasso di iscrizione alle università propriamente dette) e della Francia, per scendere al 3,2% della Spagna e al 2,3% del nostro Paese. La Finlandia ospita la più alta concentrazione di studenti in scienze e in ingegneria, mentre l’Italia si colloca sotto la media UE, preceduta da Germania, Spagna e Francia e seguita tra gli altri dal Regno Unito e, fanalino di coda, dai Paesi Bassi.
Gli aspetti formativi si traducono nella costruzione del futuro in termini di produttività e di competitività, dando vita all’intricata griglia di innovazioni, brevetti e alta tecnologia, che reggono la crescita economica del XXI secolo. Ne rappresenta un esempio il numero dei brevetti annualmente presentati dai Paesi economicamente più sviluppati. Tra quelli UE, soltanto la Germania con 24.152 brevetti si allinea a livello mondiale con gli Stati Uniti (26.158 brevetti) e con il Giappone (19.291); a livello europeo seguono la Francia (8.645 brevetti), il Regno Unito (5.138 brevetti) e l’Italia (4.921 brevetti), che riesce comunque a superare la Corea del Sud (4.272).
Una curiosità: la Svezia capeggia solitaria l’ideale classifica europea, ottenuta suddividendo il numero dei brevetti nazionali per il numero degli abitanti.
Maria Luisa Marino