Bur Rizzoli, Milano 2012, pp. 169, € 12,00
Iniziando a leggere questo Promemoria italiano, si potrebbe pensare di trovarsi tra le mani un volume di economia, ricco di teorie, di numeri e di tabelle, relativo al preoccupante momento storico-economico che sta vivendo l’Italia (e non solo). Invece la gradevole sorpresa arriva fin dalla prima pagina: il volume è, sì, prodigo di consigli, espressi non attraverso le cifre bensì attraverso i ricordi e gli incontri che hanno accompagnato il percorso umano e professionale di Roberto Napoletano, direttore del “Sole 24Ore”.
Il volume è suddiviso in capitoli brevissimi, indipendenti l’uno dall’altro, ma legati tra loro dal fil rouge dei sentimenti e dei pensieri dell’autore. Pensieri che non si limitano al facile pessimismo di cui troppo si abusa, ma venati di ottimismo e di incoraggiamento a ritrovare quello «spirito culturale» che ci contraddistingue e che tutti ci invidiano, indispensabile a rimettere in moto il Paese. Quello che colpisce il lettore scorrendo queste pagine è la grande importanza che Napoletano attribuisce alle persone, alle lezioni di vita che traspaiono dalle loro parole e dall’esempio concreto delle loro esistenze. L’autore non si limita a una lucida analisi dei problemi, ma soprattutto fornisce alcune indicazioni per imprimere un cambiamento di rotta al Paese. Un cambiamento che non trova mai una facile sponda nell’incitare all’antipolitica, ma riconosce che l’unica alternativa alla cattiva politica «è una sola, si chiama “buona politica”».
Dobbiamo constatare, purtroppo, che si è alterata la scala dei valori, che è venuto meno il senso dello Stato e delle istituzioni. «A spaventare è l’assuefazione preoccupante allo scandalo di turno, il senso d’impotenza che sembra cogliere molti (troppi) di fronte allo spettacolo quotidiano del decoro violato delle istituzioni e all’indebolimento costante della fibra civile della comunità e della sua capacità di reazione». Troppo spesso, davanti a una politica inconcludente che eleva il malaffare a codice di comportamento, c’è chi invoca la liberazione del Paese dai politici di professione, come se fosse il passaporto per la rinascita: si tratta di un falso problema e di una falsa soluzione, non abbiamo bisogno di altri dilettanti, ma di politici seri. La nostra storia, ricorda Napoletano, ci ha fornito esempi di uomini politici di grande spessore e impegno che hanno fatto il bene dell’Italia senza cercare vantaggi per se stessi: «De Gasperi era un politico di mestiere, orgoglioso di esserlo», e la sobrietà di allora mal si concilierebbe con le sfrenatezze di oggi. Il volume cita un gustoso aneddoto raccontato da Ennio Flaiano su una cena al Quirinale: al momento della frutta, davanti a una pera troppo grossa, il presidente Luigi Einaudi chiese chi volesse dividerla con lui. Forse la differenza tra ieri e oggi è proprio qui: Einaudi divise la pera con Flaiano per non sprecarla, i politici di oggi arraffano con mala grazia anche il vassoio per portare tutto a casa propria. Forse per cambiare le cose basterebbe cominciare a osservare il settimo comandamento: non rubare.
L’autore non manca di sottolineare l’attuale assenza di una visione politica di lungo periodo, quella che fa realizzare i progetti – grandi e piccoli – utili al Paese, e fa scegliere le persone giuste a prescindere dalle loro idee: «un politico vero valuta la qualità degli uomini e il ruolo che possono giocare a favore del Paese, al di là di ogni pregiudiziale ideologica». Napoletano cita a tale proposito Dossetti, democristiano di sinistra, che volle fortemente Einaudi a capo dello Stato, benché fosse il più liberale tra i candidati: certo che fosse l’uomo giusto per guidare la ricostruzione dell’Italia, investì su di lui facendo una scelta politica di alto profilo.
Il nostro passato, prodigo di buoni consigli regolarmente inascoltati, ci ricorda il rigore nella finanza pubblica di Quintino Sella: il pareggio di bilancio fu il frutto delle sue scelte che, pur con qualche inevitabile errore, avviò un processo di crescita economica. Fu sempre lui che volle rifondare l’Accademia dei Lincei, a sostegno del ricchissimo patrimonio culturale italiano i cui ambiti sono tanto diversi tra loro, ma tutti degni della medesima attenzione. Sella era consapevole «che la cultura è il biglietto da visita del Paese nel mondo e seppe investire su quel patrimonio anche in una stagione di sacrifici per tutti. Una lezione che non ha perso di attualità».
Isabella Ceccarini