Il Mulino, collana Contemporanea, Bologna 2012, pp. 312, 19 euro
Il libro di Guy Standing (docente di Economic Security nell’Università di Bath in Inghilterra, ha lavorato per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) “è quanto di meglio si possa desiderare per la conoscenza e la critica dei lavori precari, nei paesi dove questa piaga ha attecchito», afferma Aris Accornero nella prefazione all’edizione italiana.
«Tutti i dati e svariate ricerche sul mercato del lavoro – continua Accornero – ci dicono che gli impieghi a tempo determinato stanno ormai erodendo la quota di quelli a tempo indeterminato e che ciò penalizza soprattutto i giovani (specie in Italia), le donne e diversi settori dei servizi. Ormai le assunzioni temporanee superano quelle permanenti, non soltanto perché i contratti a termine durano di meno e ricorrono più spesso. In Italia i precari sono così passati in pochi anni da un decimo a un quinto degli occupati».
«Il tema di questo libro – dice Standing – è la nascita di un nuovo gruppo sociale di dimensioni mondiali, una vera e propria classe globale in divenire». L’autore si è quindi posto cinque domande fondamentali: qual è la sua natura? Perché la sua crescita dovrebbe essere presa in esame? Per quale motivo essa avviene? Quali figure vanno sempre più facendone parte? A quali esiti il precariato può condurre la nostra società? «Vi è il pericolo che, ove non fosse compreso a fondo, in fenomeno del precariato induca a risposte che potremmo definire come “politica per l’inferno”; non si tratta di una profezia, ma di una possibilità incombente, che sarà scongiurata solo se il precariato sarà divenuto una classe-per-sé, con una effettiva capacità di agire e la forza sufficiente a ispirare, all’opposto, una “politica per il paradiso”, capace di rispondere alle sue paure, alle sue insicurezze e alle sue aspirazioni. Il precariato in questo momento è – in parte – in guerra con se stesso ed è vulnerabile, attraversato da tensioni e scontri tra i vari gruppi sociali che ne fanno parte, che potrebbero subire l’influenza del populismo e dei neofascisti, sviluppo politico già chiaramente visibile in Europa e negli Stati Uniti».
In questo contesto di insicurezza, i migranti rappresentano «la fanteria leggera del capitalismo globale», in concorrenza tra di loro per contendersi i posti di lavoro in offerta, visti con diffidenza da altri precari, veri e propri “non cittadini”, sempre colpevoli di qualcosa.
Per Standing valutare il fenomeno del precariato esclusivamente come condizione di sofferenza è radicalmente sbagliato: «molti di coloro che sono trascinati cercano qualcosa di meglio rispetto a quanto offerto dalla società industriale e dal sindacalismo del Novecento».
«Il contesto in cui il precariato va da tempo crescendo è quello di una globalizzazione che con la crisi finanziaria del 2008 ha mostrato il suo vero volto. Troppo a lungo rinviato, il riequilibrio globale spinge verso il basso i paesi ad alto reddito, nel medesimo momento in cui alza i livelli di reddito dei paesi poveri. […] Il disagio e le ripercussioni potrebbero diventare esplosive».
Se l’economia globale ha determinato condizioni di insicurezza economica per milioni di persone, il precariato è in prima fila nel dibattito, ma non è avanzato di un passo, dal momento che gli manca la capacità di farsi sentire. Non si tratta qui del “ridimensionamento della classe media”, né della underclass, né di “proletariato”, ma di un insieme specifico di instabilità e incertezze, che richiederà un insieme di risposte altrettanto specifico.
«I precari, del resto, non sono né vittime, né canaglie, né eroi, ma non sono altro che una grande parte di tutti noi», conclude Standing.
Luca Cappelletti