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Datanews, Roma 2013, 354 pp., 20 €
Riusciranno le rivoluzioni del 2011 a rendere i Paesi del Nord Africa più democratici e meno Rentier State, ovvero nazioni basate su molti sussidi (derivanti da gas e petrolio) e poche tasse? Le dinamiche innescate dalle rivolte arriveranno ad attrarre maggiori investimenti dall’Europa, dunque maggiore scambio e mobilità di persone e di servizi, oppure il Mediterraneo anziché essere uno spazio comune si trasformerà in una linea di demarcazione tra civiltà in conflitto, e le frontiere esterne dello spazio di Schengen in una sorta di nuovo muro di Berlino del XXI secolo? Sono questi due tra i fili conduttori che percorrono il presente volume – frutto di una collaborazione tra l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” e il Centro Studi Internazionali – dove Anghelone e Ungari analizzano la situazione geopolitica nel Mediterraneo a due anni di distanza dallo scoppio della Primavera Araba.
Nella prima parte, tre saggi esplorano il rapporto fra Stato e Islam in Egitto, in Marocco e in Turchia, esaminano il sistema Schengen attraverso il prisma del “caso Lampedusa” del 2011 e ripercorrono l’ascesa dei Fratelli Musulmani alla luce del pensiero di Sayyid Qubt (1906-1966), l’ideologo che ha compiuto il maggiore sforzo di formulare una concezione globale, totalizzante dell’Islam, raggiungendo l’apice della complessità e dell’articolazione della teoria e della prassi politica. Ma è soprattutto nelle dieci schede Paese (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Giordania e Turchia) della seconda parte che vengono messi a fuoco gli enormi problemi economici, politici e sociali con cui sono alle prese i popoli della sponda Sud.
A pesare sul futuro è l’eredità del passato dei Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, ripercorso a volte fin troppo sinteticamente (manca una trattazione della questione palestinese, che resta sullo sfondo della storia di Israele e Libano, ma che tanto ha pesato e peserà sugli equilibri regionali), mentre i tassi di povertà e disoccupazione stanno mettendo in ginocchio le economie della regione, come dimostra il caso emblematico dell’Egitto, il Paese che per il suo peso storico, demografico e politico è destinato ad avere maggiore influenza negli anni a venire sugli assetti della regione. O come la Tunisia, il Paese dove tutto ha avuto inizio con il sacrificio del giovane Mohammed Bouazizi. La molteplicità etnico-religiosa, la frammentazione dell’opposizione e lo scellerato patto di ferro fra esercito e clan alauita al potere (l’uno garante della sopravvivenza dell’altro) sono ben tratteggiati nel capitolo dedicato alla Siria, dove la complessità dei fattori in gioco e la guerra per procura fra le potenze internazionali impediscono di trovare una soluzione alla guerra civile che da due anni sta dilaniando il Paese.
Il volume, impreziosito dalle introduzioni di Antonio Iodice (presidente dell’Istituto di Studi politici “S. Pio V”) e di Andrea Margelletti (presidente del Centro Studi Internazionali), costituisce uno strumento utile per avere un inquadramento storico e giuridico delle trasformazioni in atto nel Mediterraneo, e per tentare di orientare verso un crescente sostegno e integrazione le politiche di sicurezza, vicinato e cooperazione dell’Unione Europea verso la sponda sud del Mediterraneo. Così come avrebbe dovuto essere secondo uno dei padri dell’Unione Europea, Robert Schuman, che in un discorso del 1950 tracciò la visione di una pace mediterranea costruita su un’Europa «solidamente unita e fortemente costruita», sul «lavoro pacifico» di tutti i popoli senza distinzione, e con un’Africa che «aspetta dal Vecchio Continente» un aiuto a costruire il suo sviluppo e la sua prosperità.
Manuela Borraccino