Il 6 maggio Massimo Egidi, rettore dell’Università Luiss-Guido Carli di Roma, ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche (indirizzo di Relazioni internazionali) a Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea.
«Una scelta disciplinare che mira a premiare la straordinaria capacità di affrontare e risolvere complessi e cruciali problemi di policy mediante strumenti che vanno al di là della teoria e della politica economica» ha affermato il prof. Marcello Messori, docente di Macroeconomia nella facoltà di Scienze politiche, nella sua Laudatio.
Messori ha definito Draghi un «innovatore istituzionale di grande spessore culturale» che ha sempre fermamente creduto nella stabilità della casa europea, cercando di armonizzare priorità diverse tra mercati, istituzioni e politica. La BCE di Draghi ha assunto un ruolo guida nelle scelte europee di policy, e il suo convinto europeismo auspica nel lungo periodo l’unione politica dell’area euro.
«Fino a qualche anno fa la politica monetaria era considerata una disciplina da manuale», ma oggi non è più così, ha affermato Draghi nella sua Lectio Magistralis. «Nell’area dell’euro, la straordinaria affermazione della moneta unica nascondeva per anni i rischi che venivano accumulandosi. I governi dei paesi membri si sentivano liberati dai vincoli preesistenti». Ma il mancato rispetto dei vincoli e delle regole ha originato nel tempo le distorsioni che hanno portato alla crisi finanziaria attuale e «ha risvegliato brutalmente tutti gli attori da questa lunga, compiaciuta amnesia».
«Le riforme mirano a sciogliere i nodi che imbrigliano la capacità competitiva e soffocano la crescita»; malgrado alcuni progressi recenti, su questo fronte c’è ancora molto da fare, seppure in misura diversa nei vari paesi. Draghi ha posto l’accento sul rapporto fra tassazione e sviluppo: «Occorre mitigare gli effetti inevitabilmente recessivi del consolidamento di bilancio con una sua composizione che privilegi le riduzioni di spesa pubblica corrente e quelle delle tasse […] È indubbio che una crescita duratura sia condizione essenziale per ridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile. In alcuni paesi europei questa ha raggiunto livelli che incrinano la fiducia in dignitose prospettive di vita e che rischiano di innescare forme di proteste estreme e distruttive».
«Sentirsi parte integrante della nazione e cointeressati alle sue sorti economiche, aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono al successo economico della collettività». Ovvero, stimolare l’inclusione di tutti nel processo produttivo fa sì che le riforme possano «coniugare le potenzialità individuali con la crescita dell’economia».
Isabella Ceccarini
(9 maggio 2013)