La crisi morde ma nel nord Europa si continua a investire sulle università: in Germania, Francia, Austria, Danimarca, Norvegia e Svezia sono aumentati negli ultimi cinque anni i fondi pubblici per la formazione terziaria e la ricerca, unica garanzia per il rilancio dello sviluppo. In Italia avviene tutto il contrario: siamo tra gli 11 Paesi dell’Eurozona che hanno tagliato di più del 10% i finanziamenti per l’università, appena 109 euro per ogni cittadino, con un calo netto del 14% dall’inizio della crisi. Questi sono i dati del quinquennio 2008-2012 dell’Osservatorio sul finanziamento pubblico alle università dell’European University Association (EUA) presentati nelle scorse settimane dal segretario generale della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) e rettore dell’Università di Bergamo Stefano Paleari, che è anche membro del board dell’EUA e referente per la parte relativa al Public Funding.
Il Rapporto esplora l’impatto della crisi economica sui finanziamenti per l’educazione terziaria e getta luce sul diverso approccio che i singoli Stati hanno adottato di fronte alle scarsezza di risorse, anche tenendo conto dei diversi punti di partenza di investimento pubblico. Così, mentre la Norvegia investe 731 euro per cittadino per l’università e la Germania 304, ed entrambi i Paesi hanno aumentato rispettivamente del 22% e del 20% i finanziamenti dal 2008 ad oggi, diverse nazioni in particolare nel Sud e Sud est d’Europa stanno riducendo i fondi pubblici per l’istruzione superiore. Così, anche in Spagna c’è stato un calo dell’11% dal 2008 (ma spendono comunque più di noi, 157 euro per cittadino) e in Portogallo (meno 4%, con una spesa di 57 euro) mentre il fanalino di coda resta la Grecia, con 18 euro per cittadino ed un calo del 25% rispetto al 2008. Di questo stesso gruppo fanno parte, oltre all’Italia, la Repubblica ceca (-17%), l’Ungheria (-24%), l’Irlanda (-21%). Lettonia, Lituania, Estonia e Croazia hanno tutte subito dei tagli superiori al 10% dall’inizio della crisi, e si prevede una stabilizzazione per il 2013.
Il Rapporto ribadisce l’esistenza di un’Europa a due velocità anche nel settore dei finanziamenti pubblici agli atenei, soprattutto perché gli aumenti dei fondi avvengono su sistemi universitari dove in partenza ampie risorse vengono allocate dal Pil (come in Germania o Svezia) o dove i tagli avvengono su sistemi che già annaspano nelle ristrettezze (come in Italia, dove il dato dell’1,7% del Pil relativo ai finanziamenti al sistema universitario come percentuale della spesa pubblica totale ci colloca al penultimo posto tra i Paesi Ocse, come riporta Education at a glance 2012).
«Questa situazione – si legge nel rapporto dell’EUA – è insostenibile sia per i singoli Paesi che per l’Europa nel suo insieme. Gli investimenti ridotti indeboliscono le capacità di ricerca e le conoscenze di base dei Paesi, e hanno un impatto negativo sullo sviluppo della loro economia della conoscenza. Inoltre le opposte tendenze sugli investimenti diminuiscono il potenziale per la cooperazione scientifica e accademica internazionali e mettono a rischio il completamento dell’area europea per l’istruzione superiore e la ricerca». Nel contesto dell’attuale crisi economica, l’EUA ribadisce che «un finanziamento pubblico per l’università e la ricerca che sia stabile, flessibile e sufficiente è cruciale per assicurare il futuro dell’Europa come regione globale dinamica e competitiva».
Anche perché per i Paesi che affrontano tagli significativi ai sistemi universitari e di ricerca diventa sempre più difficile trattenere studenti e ricercatori. «Se questa fuga dei cervelli dovesse continuare e intensificarsi – chiosa il rapporto – il risultato potrebbe essere che parecchie università si troverebbero escluse per molti anni dallo spazio europeo dell’istruzione terziaria e di ricerca».
Manuela Borraccino
(luglio 2013)