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L'Association of American Universities (AAU, che comprende atenei statunitensi e canadesi), il Consortium of China 9 Research Universities (C9), il Group of Eight Australia (Go8) e la League of European Research Universities (LERU) hanno firmato un documento congiunto che segna l'inizio di un'alleanza globale tra le università di ricerca. La partecipazione italiana è rappresentata dall'Università Statale di Milano, unico ateneo italiano incluso nella lega delle università di ricerca europee.
L'obiettivo dell'accordo è quello di avviare una programmazione comune delle strategie di sviluppo e incidere sulle politiche della ricerca. Nel documento, dopo aver definito cosa si intende per università di ricerca, vengono fissati dieci punti che identificano le priorità della ricerca nonché i requisiti (indipendenza, formazione, valutazione, trasparenza e dimensione etica) che devono contraddistinguere questo gruppo di atenei.
Universitas ha rivolto tre domande a Marino Regini, professore dell'Università degli Studi di Milano e delegato del Rettore alla LERU.
Professore, ci spieghi meglio in cosa consiste questo accordo e come si è arrivati alla firma congiunta. L'accordo nasce dalla constatazione che in tutti i continenti le grandi università di ricerca, cioè quelle in cui si svolge gran parte della ricerca di punta e che basano la propria reputazione sull'eccellenza scientifica, si trovano ad affrontare problemi simili. Non solo, quasi ovunque la crisi economica porta i governi a tagliare gli investimenti in ricerca. Spesso governi e fondazioni privilegiano investimenti nella ricerca applicata, volta a trovare soluzioni rapide a problemi già noti. Gli enormi progressi che la scienza ha conosciuto e che hanno cambiato il mondo derivano dalla ricerca di base, da cui nascono avanzamenti spesso imprevisti e impensati. Questa ricerca di base e di frontiera, che è costosa e produce risultati solo nel lungo periodo, si fa soprattutto in alcune università, che si sono associate finora su base continentale (prima in Nord America, poi in Australia, e poi in Cina e in Europa con la LERU). Gli obiettivi della ricerca di frontiera sono uguali in tutto il mondo e le sfide sono ormai globali, per cui si è cominciato a confrontarsi, a ragionare insieme, a rivolgere un appello congiunto ai decisori politici di tutto il mondo.
Sono previsti seminari, incontri e pubblicazioni congiunte? Se sì, su quali argomenti? Il documento siglato congiuntamente a Hefei è solo un primo passo. Certamente si andrà avanti con iniziative comuni, ma è difficile ora prevedere in quali direzioni. Molto dipenderà anche dalle risposte dei governi e dalla presa di coscienza della società civile di che cosa si rischia a trascurare la ricerca di base, in tutto il mondo.
Quale impatto prevede che produrrà questo accordo nel mondo universitario e della ricerca italiano? Il mondo universitario italiano è molto ripiegato su se stesso, costretto com'è da 15 anni a questa parte a dedicare gran parte delle sue energie a continui aggiustamenti normativi imposti dal centro. Il documento di Hefei richiama appunto la necessità di una visione strategica condivisa, che da noi manca completamente. Per questo temo che in Italia l'impatto di questo accordo sarà debole. Solo pochi saranno capaci di guardare oltre le discussioni asfittiche su technicalities come i requisiti di docenza per i corsi di studio o i requisiti per l'abilitazione, e di alzare lo sguardo ai grandi problemi del futuro della ricerca e dell'università, sprovincializzando il dibattito italiano.
Isabella Ceccarini (ottobre 2013)
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