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«Facciamo appello ai paesi, come attori che condividono responsabilità globali, di non pensare ai rifugiati solo in termini di finanziamenti e ricollocazione ma anche ai visti per gli studenti»: questo è l'appello lanciato nei giorni scorsi dalla portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, Melissa Fleming, e che riassume il messaggio del rapporto pubblicato dall'agenzia delle Nazioni Unite sull'istruzione "in crisi" per i rifugiati. Un settore, ha detto, al centro di un approccio «miope e sordo» visto che spesso «non spetta alle università ma ai governi dire "va bene, se è nostro compito condividere responsabilità per il problema dei rifugiati globali, incoraggeremo i visti agli studenti"» (come già evidenziato in un articolo su Universitas durante l'emergenza 2015).
Circostanze confermate dalle molte università che vorrebbero concedere borse di studio ma sono bloccate dalle istituzioni politiche: «ci vogliono due anni per far entrare uno studente siriano in un'università degli Stati Uniti» ha raccontato la Fleming, mentre in paesi come l'Irlanda o il Portogallo «non sono solo gli atenei ma gli stessi governi che offrono visti per contribuire ad alleviare la crisi dei rifugiati» (cfr. il dossier pubblicato in Universitas n. 140).
La guerra civile in Siria e in Somalia, le crisi in Iraq, Afghanistan, il narcotraffico in Colombia e in America Centrale hanno fatto lievitare la quota di persone costrette a lasciare le loro case e paesi per sopravvivere: sono circa 65,3 milioni di persone nel 2016 in confronto ai 38 milioni di dieci anni fa. Tra questi, solo la metà dei bambini svolge le scuole elementari, un quarto frequenta le scuole superiori e appena l'1% dei giovani rifugiati riesce ad accedere alle università. Tale ultima cifra contrasta nel confronto con il dato dell'Unesco secondo cui il 34% dei giovani fra i 18 e i 25 anni nel mondo studia all'università.
È necessario un approccio strategico e che guardi lontano, rimarca il Rapporto Onu, visto che a causa della complessità dei conflitti in corso e dei processi di ricostruzione la condizione dei rifugiati dura in media vent'anni. «I rifugiati saranno i futuri architetti e ingegneri, sindaci e medici, costruttori di pace dei loro paesi lacerati dalla guerra, visto che potenzialmente tutti i rifugiati vogliono tornare a casa» ha detto ancora la portavoce ONU Melissa Fleming. Al contrario, come dimostra l'aumento della criminalità organizzata, «è dimostrato che se non inseriamo un bambino nel sistema di istruzione, lo rendiamo vulnerabile ad abusi e al reclutamento da parte di gruppi armati, e per giovani senza prospettive di istruzioni o di lavoro lavorare per i signori della guerra locali può diventare in certe situazioni l'unica opzione possibile».
Manuela Borraccino (28 settembre 2016)
(Fonte: Brendan O'Malley, UN call to ease visa restrictions for refugee students, University World News n. 428 - 16/09/2016)
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